11 Novembre 2020 by Valentina Iscra
Auditorium di Roma – Foto di Valentina Iscra
Roma e il 15° Film Festival 2020
Cosa spinge una donna curda di trent’anni, musulmana che per scelta non indossa il velo, a diventare sindaco di Raqqa, l’ex “capitale” del sedicente stato islamico in Siria?
Perché un medico, padre di sei figli e professore universitario, si dedica alla salute dei più poveri insegnando loro a pretendere migliori condizioni di vita?
E’ possibile prevedere quando uno dei numerosi meteoriti che viaggiano ad altissima velocità nel nostro sistema solare potrebbe entrare in rotta di collisione con la terra?
Può un uomo ultraottantenne, come Papa Francesco, farsi carico delle istanze delle minoranze di tutto il mondo e visitare in un anno undici Paesi di quattro continenti per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle urgenze dell’umanità e del pianeta?
Queste alcune delle domande che rimangono a vagare nella mente dopo aver seguito il programma ricco e stimolante della 15^ mostra del cinema di Roma che ha saputo vincere la sfida al Covid, come è successo per la mostra cinematografica di Venezia.
“9 Days in Raqqa” è il documentario di Xavier de Lauzanne che racconta la vita di Leila Mustafa intervistata dalla scrittrice francese Marine de Tilly.
Sindaco di Raqqa, la roccaforte di Daesh che ritirandosi ha lasciato distruzione per l’80%, Leila Mustafa ha dovuto organizzare un’imponente opera di sminamento per poi ripristinare nell’intera città il sistema elettrico e la fornitura idrica, occupandosi della ricostruzione e di far ritornare dai campi profughi i cittadini sopravvissuti.
Leila senza retorica parla della sua esperienza e rivela che in Siria le agenzie internazionali non stanno mantenendo quello che hanno promesso perché di fatto hanno abbandonato gli architetti della pace nella delicata fase della ricostruzione.
“La situazione è ancora più fragile quando la pace sta nascendo rispetto ai tempi della guerra. E poi ci sono ovunque spie e cellule dormienti dell’ISIS” così dichiara all’intervistatrice il sindaco Leila consapevole di rischiare ogni giorno la vita mentre lotta per affermare i principi democratici senza i quali niente avrebbe senso e svela le sue emozioni più profonde mentre dice “da una parte mi sento tirare giù per la disperazione, dall’altra avverto una forza che mi dà coraggio e mi spinge ad andare avanti per tutti quegli amici che ho visto trucidare”.
“El olvido que seremos” (l’oblio che saremo) è il film di Fernando Trueba già premio Oscar per “Belle Epoque” qui impegnato a raccontare una storia drammatica raggiungendo momenti d’intensa poesia. L’attore Javier Camara è perfetto nel ruolo del protagonista Hector Abad Gomez, un attento padre di famiglia, appassionato professore universitario e medico generoso, candidato sindaco di Medellin in una turbolenta Colombia degli anni settanta-ottanta.
La vita di Hector si svolge in gran parte nei quartieri periferici più malsani della città dove si batte per la promozione della salute pubblica, impegnandosi per le prime campagne di vaccinazione antipolio.
Intelligente formatore Hector è convinto che la felicità dell’uomo sia il miglior metodo educativo ed insegna ai figli ed agli studenti che per pensare bene bisogna sempre usare la propria testa ma la conoscenza da sola non basta, occorre saggezza. E se si vuole percorrere la strada dell’insegnamento è necessaria anche la bontà.
La sceneggiatura del film è tratta dal romanzo di Héctor Abad Faciolince, figlio del protagonista, che lascia emergere a tutto tondo la figura del padre, uomo tenero, coraggioso ed innamorato della famiglia. Profondamente convinto dell’uguaglianza fra gli uomini, Hector è sempre più in contrasto con il sistema di cui non cerca il consenso e non scende mai a compromessi.
Dopo la morte prematura di una delle figlie mai accettata fino in fondo e a seguito di un ingiusto prepensionamento da parte dell’università, Hector si getta ancora di più in politica entrando in conflitto con quel sistema corrotto che non si farà scrupoli ad eliminarlo. Vittima innocente Hector Abad Gomez verrà assassinato in strada, sacrificato a causa del suo incondizionato impegno per una società più giusta.
Con il suo “Fireball: Visitors from the Darker Worlds” il regista tedesco Werner Herzog porta il pubblico in un meraviglioso viaggio fra le stelle seguendo Clive Oppenheimer, vulcanologo inglese professore a Cambridge, mentre intervista vari scienziati che illustrano il sistema solare. E’ un racconto ritmato dalla curiosità che svela gli eventi legati al ritrovamento di meteoriti sulla terra da quello di 127 kg caduto nel 1492 nel villaggio di Ensisheim in Alsazia, all’enorme asteroide di circa 14 km di diametro caduto nei pressi di Chicxulub nello Yucatàn in Messico, intorno a 66 milioni di anni fa seguito da un’esplosione e da uno tsunami che si presume abbiano portato all’estinzione i dinosauri.
Già a partire dalle culture più ancestrali l’umanità si è sempre interrogata sul senso della propria esistenza in rapporto al cosmo, chiedendosi quale fosse il legame con i pianeti. Un legame intriso di stupori e di misteri tanto da interpretare la caduta di una stella come presagio di morte. Uscita dall’ambito del mito, la cosmologia ha iniziato a guardare il cielo in modo diverso, è diventata disciplina scientifica che si fa filosofia e legge i messaggi dell’Universo per capire come i pianeti possano influenzare ma non condizionare gli uomini, i quali hanno sempre la possibilità di decidere in base alla propria libertà.
Evgeny Afineevsky, regista ebreo di origini russe, naturalizzato americano, dopo i documentari “Winter on Fire” sulla rivoluzione ucraina del 2014 e “Cries from Syria” sulla guerra in Siria, si cimenta con “Francesco” coi problemi del mondo di oggi in particolare riguardo agli esclusi in rapporto al magistero di Papa Francesco. Per niente celebrativo, fa amare ancora di più il Papa della Misericordia per la sua vicinanza a chi è dimenticato da chi ha la responsabilità della gestione della cosa pubblica.
Le interviste con campi stretti si frappongono al materiale degli archivi vaticani e costruiscono momenti forti in alcune sequenze magistrali, tra tutte l’accoglienza in Vaticano di alcuni rifugiati musulmani del campo profughi di Lesbo. L’intensità dello sguardo d’una donna in lacrime che commossa stringe la mano di Francesco come ancorandosi ad una roccia, grata perché finalmente considerata come persona, ha la forza della verità d’una scultura michelangiolesca. E il Papa diventa la Croce che prende su di sé la sofferenza di tutti gli uomini.
Francesco, l’uomo venuto dalla fine del mondo, “artigiano” della pace vuole cercare i punti di contatto con le persone di ogni cultura per realizzare nel dialogo un’umanità rinnovata nei pensieri e nei desideri, per costruire una società tollerante dove i conflitti si “disinnescano” nell’incontro e danno vita alla convivenza pacifica nel rispetto delle diversità.
Nonostante il Covid, a Roma il Festival col suo programma ha saputo coinvolgere un pubblico sempre appassionato come appassionati sono sempre i cinefili di ogni età, felici già per il fatto di esserci e ancora di più quando si confrontano con temi ispirati a valori positivi quali l’altruismo e l’amore per il bene comune, carburante indispensabile per proseguire nel viaggio della vita alla ricerca della verità in un mondo malato di violenza.
La guerra chiama altra guerra se non c’è chi è disposto a lottare per interrompere la catena, come Leila Mustafa. La corruzione si nutre di sè stessa se non c’è chi è pronto a morire per combatterla, come Hector Abad Gomez.
La scienza s’incontra con la filosofia quando si interroga sul senso “cosmico” di ciò che siamo, come racconta “Fireball: Visitors from the Darker Worlds.”
E ognuno può dare il proprio contributo segnando la differenza.