Roma – 16 Febbraio 2022 by Vittoria Biasi
“Oggi consegno alla Storia l’iconografia dell’ultimo mese di vita del più Grande Poeta italiano, Pier Paolo Pasolini”. La nota del testo introduttivo di Dino Pedriali Pier Paolo Pasolini. Fotografie di Dino Pedriali ( ed. Johan & Levi 2011) conclude e suggella la storia del rapporto fotografico e umano, che, nel 1975, lega il giovane fotografo Dino Pedriali e il Poeta/Scrittore Pier Paolo Pasolini.
Sabaudia e Torre di Chia sono luoghi particolari per architettura e luce: rappresentano due dei diversi rapporti di vita e di pensiero che Pasolini ha approfondito. La Torre di Chia può essere il momento di ritiro e di trascrizione della riflessione sul rapporto con la vita, dove ogni giorno il meccanismo del sistema e il gioco delle regole colpisce il più debole e il più esposto per sensibilità. Pedriali racconta in modo diretto gli ultimi giorni dell’incontro con Pasolini.
Nella domanda “Signor Pasolini si può fermare? Le voglio fare una foto” vi è ancora l’eco di un sentimento reverenziale.
Pedriali mi ha detto più volte “Immagina cosa vuol dire per un giovane, come ero io, incontrare Pasolini. L’incontro con Pasolini mi ha cambiato la vita”.
Lo scrittore accetta di farsi fotografare. Pedriali coglie l’espressione di pensierosa attesa, in un andare stando fermo, poggiato alla ringhiera, con la sua Alfa 2000 alle spalle, tra la luce e lo scenario del Circeo. Gli scatti sono il ‘dono’, la ‘consegna’ che Pasolini lascia a Pedriali.
Lo scrittore si fa fotografare nel rapporto più sacro: quello con il pensiero, con il corpo non rivelato. Pedriali è un fotografo che cerca l’anima, insegue l’aspetto più sfuggente all’occhio e alla coscienza, vuole entrare nel fremito che scorre sotto la pelle e nel sangue. Pedriali nell’obiettivo della sua macchina fotografica cerca la dannazione dell’altro, il suo estremo, non per predarlo ma per ricongiungerlo alla pelle: infatti chiama “ritratti” le sue opere fotografiche. Dino Pedriali è il simbolo di una teoria del linguaggio, della letteratura, dell’arte di Pasolini: è un personaggio scomodo, è il depositario di una memoria capace di vivisezione del sociale, è uno sbarramento all’abuso di Pasolini. Il nudo dello scrittore è emblematico, avvolto in un’aura di indefinito, in un volgere quasi le spalle a quanto doveva accadere o al donarsi con sacra consapevolezza. Pedriali ama Michelangelo, ma nel dipingere il nudo di Pasolini è vicino a Masaccio, in cui il limite non è definito come confine tra differenti corpi, ma è la linea da cui il corpo emana la propria energia avvolgente lo scenario.
Con quel grande codice d’onore o di sentimento proprio di alcune periferie, Pedriali ha protetto il testamento poetico affidatogli dal regista, stanando ombre e giochi di potere. Pedriali scrive “è stato difficile e faticoso non farsi travolgere ma proteggere quel corpo (più lo proteggevo e più lo avrei reso pregiato. E in questi trentacinque anni non si è scalfito). Ero l’Unico che aveva il Corpo del Poeta, intatto. E la cultura, si è nutrita almeno del suo pensiero?” Le foto nella Torre di Chia sembrano affreschi, immagini di un ricordo che non varca la soglia della realtà. Il luogo è emanazione della figura.
Il pensiero di Pasolini è stato attraversato, studiato nella visione ideologica dell’esistenza, nella poesia dei rapporti e ogni conclusione ha segnato il punto di partenza per un discorso ‘altro’ sul mondo, su una condizione che riprende il suo combattimento senza tregua, anche dopo la morte sociale dello stesso Pasolini.
Pier Paolo Pasolini. Fotografie di Dino Pedriali è la prima raccolta completa delle ultime settimane di Pasolini: un testamento per un’eredità poetica dedicata alle generazioni che non hanno conosciuto Pasolini e Pedriali. In un’intervista a Maria Luisa Agnese, giornalista di Panorama, il fotografo considera il ‘puro’ un perdente. L’espressione è inserita in una riflessione sul comportamento maschile nel rapporto del giovane omosessuale. Il concetto di perdente, legato alla purezza, racchiude il confronto, il combattimento tra la forza naturale, spontanea, non connotabile, e le maschere dietro cui l’uomo si nasconde strutturando un comportamento.
Le mostre su alcuni personaggi tentano gli storici nello spostare l’attenzione, nel compiacersi su alcuni passaggi trascurando o dedicando un’attenzione marginale all’autore delle opere, a colui che prima di tutti ha sentito l’incontro.
In un colloquio con Dino Pedriali pongo alcune domande.
V.B.Cosa costituisce per te la pubblicazione Pier Paolo Pasolini. Fotografie di Dino Pedriali ?
D.P. Questo libro costituisce la più importante iconografia di immagine nella storia moderna.
V.B. A chi apparterranno le foto che tu hai scattato a Pasolini ora che sono pubblicate nel libro?
D.P. Appartengono a me, apparterranno ancora di più a me quando, non so il giorno e l’anno, potrò rifare il libro come io avrei voluto che fosse. L’errore che la casa editrice ha fatto è quello di aver raggruppato e concentrato tutti i nudi nelle ultime pagine, non rispettando come io ho montato la mostra. La casa editrice ha voluto risolvere il problema con ordine economico. Avendo costruito un percorso di ingresso nell’intimità della scrittura del poeta, che corregge le leggendarie pagine di Scritti corsari apparsi nel Corriere della sera, e lo dimostra la quarta di copertina “Due modeste proposte per eliminare la criminalità in Italia”, creo un montaggio parallelo unendo un’immagine di nudo accanto ad un’immagine in cui Pasolini sta scrivendo il romanzo incompiuto Petrolio; a seguire un altro nudo in cui sta rileggendo l’articolo che deve inviare al Corriere della Sera. Il libro doveva essere come un album di famiglia del giorno più felice della loro vita: il loro matrimonio. Ed ecco che sfogliando questo album compaiono quattro immagini, ne compaiono due, ne compaiono sei e così via dicendo. Se la casa editrice avesse rispettato questo mio desiderio questo album sarebbe diventato una vera opera d’arte. Ma sono anche certo che riuscirò a ripubblicare questo libro così come l’ho concepito e creato. Sono sicuro che un editore italiano, straniero vorrà fare questo straordinario album dei ricordi.
V.B. Oggi come sente Pedriali l’incontro con Pasolini? quanto Pasolini ha influenzato la lettura del suo tempo e di conseguenza il rapporto con la tua arte?
D.P. Io avevo 25 anni quando Pasolini pronunciò questa frase “Il mondo non mi vuole più, non c’è posto nemmeno al terzo mondo per me”. Questo ha fatto sì che mi sono spogliato di qualsiasi ambizione che un giovane ha.
V.B .In quali collezioni sono presenti le tue opere?
D.P. Credo di aver fatto un vero e proprio capolavoro. La prima grande collezione è in possesso della collezionista Alda Fendi, fondatrice della Fondazione Alda Fendi, la seconda collezione è di proprietà della collezionista Giovanna Forlanelli, amministratore delegato della casa editrice Johan & Levi . Tutti i quotidiani italiani ed esteri possiedono il celeberrimo ritratto di Pier Paolo Pasolini con la mano davanti alla bocca. In trentacinque anni non posso calcolare quante foto originali sono in possesso di amanti dell’arte e collezionisti, ma vi dico che sono anche tante le fotografie rifatte da un originale.
V.B. Perché, pur ossequiando Pasolini, un sindaco romano non ti ha affidato la committenza di fotografare i luoghi pasoliniani, per impaginarli, come Atget ha fatto con Parigi?
- P. Se ipoteticamente il sindaco di Roma Gianni Alemanno mi commissionasse un lavoro su Roma, sui luoghi pasoliniani, non accetterei. Ancor prima che firmassi il contratto con la casa editrice Johan & Levi, per un solo anno, per autorizzare la monografia Pier Paolo Pasolini. Fotografie di Dino Pedriali, il sindaco Gianni Alemanno, proprio il 2 novembre del 2010, alla commemorazione del luogo in cui è stato ammazzato Pasolini, dichiara che sta lavorando per fare il museo Pasolini nella torre michelangiolesca accanto al luogo del ritrovamento del corpo del Poeta. Io sono andato di corsa e ho lasciato una lettera protocollata al sindaco Alemanno con cui facevo dono delle foto più rare del poeta che scrive sulla sua Olivetti 22 e non solo. Chissà se mi chiama, non ho avuto alcuna risposta, nessun interessamento.
Pedriali ha trasformato il ritratto in linguaggio cercando di superare ogni metafora del segno. Nella mostra Primavere del bianco (……), Pedriali ha proposto l’opera Soffio (2004) tratta dallo studio sull’oltre del nudo, sul pre-nato che si presenta al mondo “con la luce dalle ombre bianche. E solo quando il mio occhio perde i contorni della figura umana come se il bianco risucchiasse parte del corpo…. a quel punto scatto! Come se puntassi il mio occhio nell’osservare il sole al massimo della luminosità e anche se il mio occhio naturale perde i contorni, l’occhio meccanico no.” (Pedriali, Primavere del bianco, progetto e cura Vittoria Biasi, Museum of Art Seoul National University 2011).
A sempre con il solito affetto e stima
Vittoria Biasi