ovvero
Souvenir de Kiki
Roma – 28 Febbraio 2024 by Vittoria Biasi
da “Diario di una modella” di Kiki di Montparnasse
drammaturgia, immagini e regia Consuelo Barilari
Con Manuela Kustermann
Le voci di Hemingway, Soutine, Man Ray, Fujita sono di Roberto Alinghieri, Fabrizio Matteini, Noureddine e David Gallerello
Luci Liliana Iadeluca
Suono e editing video Claudio Maccagno
Proiezioni video Gianluca De Pasquale
Elementi scenici Cri Eco
Costume Francesca Parodi
Installazione “Libellus” Marzia Migliora e Ilenia Corti
Teatro Vascello, Roma
Dal 13 al 18 febbraio 2024
Quando le luci si spengono, il palcoscenico appare protetto da un velo bianco, che scende dall’alto e, come una linea di separazione temporale o una nebbia, rivela immagini sgranate, fantasmi di storie dimenticate, frammenti di vite abbandonate sotto la polvere della terra.
Dalle sovrapposizione degli eventi Manuela Kustermann fa emergere una vita dimenticata: quella di Kiki, una giovanissima modella, che nella Parigi degli anni ’20, è stata la musa di artisti dell’avanguardia, che con Picasso avevano introdotto un diverso rapporto con l’immagine.
Lo spettacolo Souvenir de Kiki, tratto dall’autobiografia di Kiki, Memorie di una modella, è prodotto da Schegge di Mediterraneo, da Festival dell’Eccellenza al Femminile, in collaborazione con la Fabbrica dell’Attore teatro Vascello.
Manuela Kustermann, con una narrazione/monologo intensa e raccolta in capitoli, con l’iperscrittura dei titoli proiettati in stampatello oltre il palcoscenico, attraversa la difficile vita di Kiki, faro degli artisti surrealisti e dadaisti che si ritrovavano nei caffé di Montparnasse, da Hemingway, Soutine, Fujita, a Cocteau, Calder, Modigliani, a Man Ray. L’arredo scenico è essenziale: una macchina da scrivere, un tavolino e una sedia sono i fantasmi della narrazione e, immersi in una luce calda e debole, sono il segno ambiguo tra la scrittura del diario e il ricordo del lavoro da linotipista della madre.
Il ticchettio della tastiera accompagna il racconto dei primi capitoli che si concludono con l’irruzione della frase “Tagliamole la testa”.
L’infanzia poverissima di Kiki, figlia illegittima, vissuta con la nonna si conclude a dodici anni, con il viaggio in treno per raggiungere la madre a Parigi. I diversi lavori, da cui è sempre licenziata, appesantiscono l’impatto con la vita di città. È toccante l’interpretazione di Manuela Kustermann nel presentare Kiki fanciulla che durante il lavoro, da cui è licenziata, ridisegna le sopracciglia con un fiammifero bruciato. Lo stile del linguaggio scorre su note pacate, con suoni che hanno superato l’elaborazione interiore e si presentano epurati da emotività, da passioni: è il racconto di un evento che ha assunto la dignità della storia e la protezione dell’interprete verso la quattordicenne. Le difficili vicende accettate, sistemate si concludono con l’irruzione della frase “Tagliamole la testa” che l’attrice ripete voltando le spalle per non essere parte di quella condanna sociale.
Manuela Kustermann scolpisce il personaggio di Kiki, con un linguaggio cubista che vuole liberare la bellezza interiore, l’indipendenza, il suo sentirsi dono d’amore da regalare all’altro. Questa concezione è in attrito con l’ideologia socioeconomica del periodo storico, in cui ricchezza e povertà si usano e si sfiorano mentre la ricerca fotografica surrealista vive la lotta con il reale.
Con toni composti, eleganti, l’attrice sostiene il ruolo di una donna che dall’età di quattordici anni ha iniziato a posare nuda per gli artisti, godendo della felicità che poteva donare loro.
Manuela Kustermann vive sulla scena il souvenir, l’emersione di alcuni momenti di giovinezza passata, creando un segno in cui voce e gesto si congiungono nel sentimento della distanza da ciò che è stato: un raccontare con la visione e la sintesi del poi, del succedersi degli eventi, quando l’agitazione della passione ha trovato una sua composizione. Le sue movenze traggono ispirazione dalle opere fotografiche di Man Ray: un atteggiamento impertinente contiene l’espressione invitante, in cui l’erotismo del donarsi come piacere fine a se stesso si fonde con la tristezza e il languore dello sguardo imprendibile, sognante, dischiuso. L’attrice è profondamente coinvolta nel personaggio e si propone come souvenir dell’icona Kiki, Violon d’Ingres (1922), tra il pudico e un’accennata sensualità. L’oscurità della scena avvolge la Kustermann come nelle foto di Man Ray l’ombra vaporizzata, morbida accarezza i contorni del corpo di Kiki.
La recitazione della Kustermann e la storia di Kiki scorrono su binari paralleli per raggiungere qualcosa da donare per suscitare emozione. La parola souvenir esprime il motus che dal profondo dell’animo affiora alla mente dove diviene immagine. Il dono appartiene all’anima e si può donare solo ciò che si possiede.
Il tema della concezione sul femminile è il sottotesto della pièce: il mondo ricco, profondo di Kiki e l’esterno rapace e anche perverso, ostile. “Tagliamole la testa” è il refrain della condanna sociale.
La storia scorre, si narra senza considerazioni o dolori. Kustermann racconta l’incontro di Kiki con il pittore giapponese Tsuguharu Fujita. La giovane modella ha rasato i peli del pube e li ha disegnati con il carboncino per posare nei nudi dell’artista giapponese. Poi anche questo amore finisce.
Kiki, scrittrice, cantante, ballerina, pittrice, modella ha arricchito la sua vita di molte esperienze e di coinvolgimenti nella storia politico-culturale delle Avanguardie.
Manuela Kustermann, fin da giovanissima interprete del teatro sperimentale con l’esordio in Ofelia di Carmelo Bene, dalla metà degli anni ’60 e negli anni ’70 è la prima donna del teatro di Avanguardia, interpretando ruoli complessi legati al mondo dell’arte e all’impegno sociale. La figura di Kiki entra con garbo e naturalezza nella sua vita attoriale insinuandosi tra la finzione recitativa e l’autenticità del suo pensiero.
La sua Kiki attraversa episodi di vita che si espandono nell’apparato scenico dell’ombra, dell’oscurità, come nel decalage dell’esistenza, esibendo l’indipendenza dagli stessi eventi, che è il vero segno passionale dell’opera e della Kustermann.