Padiglione della Repubblica del Camerun
Roma – 15 Aprile 2024 by Vittoria Biasi
I curatori del Padiglione del Camerun Paul Emmanuel Loga Mahop e Sandro Orlandi Stagl interpretano il tema della 60^ Biennale di Venezia con il progetto dal titolo Nemo propheta in patria, in cui cinque artisti camerunesi e otto artisti internazionali, provenienti da Italia, Germania, Olanda, Francia, Colombia e Cina si relazionano tra loro.
Spesso personaggi storici, pittori e artisti si sono affermati in terre lontane dai loro luoghi natii. È possibile che le stesse persone abbiano trovato altrove la possibilità di liberare il loro guardare oltre o altro su cui strutturare il pensiero. Il titolo Nemo propheta in patria è una risposta alla rete delle dinamiche sociali, tradizionali e normative spesso non disponibili ad accogliere la diversità.
Nella 56^ Biennale del 2015, All The World’s Futures, di Okwui Enwezor, in cui i Padiglioni di Nigeria e Kenya revocarono la loro adesione alla Biennale per evidenziare la criticità delle politiche sui diritti umani e la deresponsabilizzazione generale, Sandro Orlandi Stagl era curatore del Padiglione del Kenya1. In quell’occasione, come spesso è accaduto per i Padiglioni di paesi emergenti, il curatore aveva invitato artisti di più nazionalità a esporre opere sul valore del patrimonio identitario.
L’identità, scriveva il curatore, non può essere una generica rappresentazione di tematiche conformistiche legate al post colonialismo o all’attivismo e al consumismo di massa. L’identità è tutto ciò che abbiamo, è quello che siamo2.
L’identità è un valore di ampia estensione: è l’avventura dell’uomo impegnato con il suo percorso nel riconoscimento della sua favola interiore per poter divenire il mondo.
Il pensiero espresso da Sandro Orlandi Stagl in Creating Identities ha un logico seguito in Nemo propheta in patria dove il concetto di patria è lo spazio geografico-temporale. La storia delle arti non è costituita solo da personaggi di primo piano, indiscussi protagonisti di una sezione temporale. La tenacia e l’amore della ricerca hanno fatto scoprire artisti, opere, scritti che il loro tempo aveva sepolto perché non li aveva capiti. L’intrusione di un passato nel presente e l’ingresso in un’altra cultura di un pensiero geograficamente lontano sono fenomeni frequenti nella storia dell’uomo.
In tal senso è riguardoso che la Biennale d’arte rispetti la composizione sociale e intellettuale di un paese. Il metodo di confronto espositivo con cui Stagl ha concepito il Padiglione del Kenya nella Biennale del 2015, e per cui è stato criticato, è una consuetudine di molti Padiglioni e anche della Biennale di Adriano Pedrosa. L’arte appartiene al modo di essere della vita e alla sua creazione di concetti e si insinua nell’interstizio shakespeariano dell’essere o del non essere. L’arte è stata sempre oltre, oltre le discriminazioni e in difesa di idee in ogni ambito sociale e geografico. Il divide et impera è del potere non dell’arte e il tema focale di questa biennale Foreigners Everywhere è per gli artisti il tappeto dorato su cui esporre il proprio pensiero.
Nell’ambito di una Biennale dedicata alla diaspora dei popoli e degli artisti, il progetto Nemo propheta in patria celebra coloro che hanno dovuto lasciare la propria comunità alla ricerca di lavoro, condivisione e, forse, successo. La storia testimonia che le migrazioni hanno coinvolto tutte le epoche e sono state all’origine delle nostre culture.
Il Padiglione della Repubblica del Camerun è stato definito dai curatori Padiglione delle meraviglie.
I progetti degli artisti camerunensi Jean Michel Dissake, Hako Hankson, Kendji & Ollo Arts, Patrick-Joël Tatcheda Yonkeu, Guy Wouete e quelli degli artisti internazionali Angelo Accardi, Julia Bornefeld, Cesare Catania, Adélaïde Laurent-Bellue, Franco Mazzucchelli, Rex and Edna Volcan, Giorgio Tentolini e Liu Youju si incontrano per celebrare il coraggio di chi non ha mai abbandonato il luogo delle proprie idee.
Jean Michel Dissake, figlio di architetto e nipote di un capo tradizionale SAWA, ha seguito fin da giovane la sua passione per l’arte, che ha nutrito con l’attenzione per il suo ambiente e per la natura. Dalla concezione del rapporto con ciò che lo circonda nascono opere di ampia coabitazione tra frammenti di esistenze, che non sono isole, ma poggiano su una rete di segni forse di altri tempi e in interazione.
Il pensiero che accomuna gli artisti del Camerun è legato all’umanità.
È enigmatica l’opera di Kendji & Ollo Arts centrata sull’immagine delle due dita che, tenendo fermo il primo filo, girano e arricchiscono il fuso facendo leva sul pollice: celato motore del movimento.
Le circonferenze della scultura-ruota di Patrick-Joël Tatcheda Yonkeu e dell’installazione di Guy Wouete sembrano due forme di mandala consequenziali: oggetti del mondo, foglie, rami, alberi hanno il contrappunto nell’abbondanza di sneakers, simbolo del lungo camminare. L’orrore è nella centralità delle due opere, nel rapporto tra vuoto e filo spinato.
La diversità etnica, culturale è narrata dal duo Rex and Edna Volcan proveniente dall’America Latina e dall’Europa. Sono narratori contemporanei che uniscono le genti, le infinite umanità del mondo in un segno, bianco, comune e diverso.
Nell’ideazione espositiva e nella mostra scorre un’energia strutturata (Angelo Accardi) o consapevole (Giorgio Tentolini) o giovane (Adélaïde Laurent-Bellue) o naturale (Liu Youju).
Le opere, realizzate nella profondità dell’esperienza di ogni artista, rivelano un piccolo mondo armonizzato, che mostra la forza dell’arte di creare legami e solidarietà umana.
1 Cfr. Vittoria Biasi, Edvige Bilotti, Biennali. Sogni dell’arte e Sfide della realtà. Fermenti Editore, Roma, 2023, p. 14
2 Sandro Orlandi Stagl, Creating Identities, in Okwui Enwezor, All The World’s Futures. Partecipazioni internazionali. Eventi Collaterali, Marsilio Editori, 2015, p. 100