Roma – 30 Aprile 2024 by Roberta D’Errico
Vittoria Biasi e Edvige Bilotti nella loro pubblicazione Biennali. Sogni dell’arte e Sfide della realtà (Fermenti Editore, 2023) espongono alcune riflessioni sulla 59^ Biennale di Venezia The Milk of Dreams, sul rapporto tra il progetto teorico della direttrice Cecilia Alemani e il contesto storico-culturale in cui si inserisce, sulla distanza tra i discorsi dell’arte e l’arte della comunicazione e le nuove funzioni dell’arte.
La presenza dell’arte delle minoranze e i problemi delle identità delle culture colonizzate è posta accanto all’ingresso nell’arte della tecnologia e dell’intelligenza artificiale: e tutto in un mondo che non ha ancora risolto problemi sociali e razziali. Per le autrici la composizione espositiva della biennale si fonda sul silenzioso e storico attrito tra realtà e verità che Carlo Ginzburg ha efficacemente illustrato in Il filo e le tracce. Vero falso finto, di cui le autrici riportano il passaggio: La contiguità tra finzione e storia fa pensare a quelle opere di Magritte in cui l’artista raffigura un paesaggio accostato al suo riflesso in uno specchio rotto1.
Biennali. Sogni dell’arte e Sfide della realtà ha in copertina l’opera dell’artista Fiorella Rizzo con la frase Il vero è nella finzione dell’arte: una riflessione sulla capacità dell’arte di consegnarci la verità del reale attraverso la finzione. Da qui la domanda: come si pone la 59^ Biennale di Venezia di fronte a questo assunto? L’artista, nel contributo al libro sulle biennali dal titolo Il vero nella finzione dell’arte, cerca una risposta nel dialogo immaginario con il Principe di Fëdor Dostojewski2.
Voi, principe, una volta avete detto che la bellezza avrebbe salvato il mondo3. La citazione della frase, ormai ricorrente, apre una scrittura d’artista. Soffermandosi in particolare sulla bellezza nell’arte, Fiorella Rizzo è alla ricerca appunto del bello nell’arte. Da qui, una carrellata sulla Biennale del 2022 che, purtroppo, evidenzia il prevalere di tematiche extra- artistiche (come l’eccessiva presenza di artiste, con cui la curatrice ha cercato di rimediare al maschilismo del sistema dell’arte ed un’attenzione generale verso le minoranze, quasi una riparazione ai problemi del colonialismo e del razzismo, sottolineato in vari testi critici)4, che non sempre riescono a diventare artistiche. La conclusione è che per poter essere bella, l’arte deve essere vera perché il vero e il bello sono la condizione dell’opera d’arte […] Il vero, dunque, si materializza nell’opera non in quanto contenuto, ma essenza stessa della creazione. Ecco che il bello è proprio nella verità dell’opera d’arte5.
Vittoria Biasi e Edvige Bilotti evidenziano alcune discontinuità espositive, che volevano essere momenti di verità sull’orrore, come nella 56^ Biennale All The World’s Futures del direttore Okwui Enwezor. La Repubblica Federale della Nigeria e la Repubblica del Kenya ritirarono i loro artisti dalla partecipazione all’Esposizione Internazionale per evidenziare le criticità di politiche dei diritti umani vissute nel silenzio di un processo di deresponsabilizzazione generale6. Per altre cause, nella 59^ Edizione The Milk of Dreams della direttrice Cecilia Alemani, il curatore lituano Raimundas Malašauskas ha deciso di non esporre le opere degli artisti russi, con la conseguente chiusura del Padiglione russo, che è apparso così immerso nel silenzio della sua cultura.
È ancora vivo il ricordo dell’ultima partecipazione russa nella Biennale del 2019 May You Live in Interesting Times del direttore Ralph Rugoff, in cui il Padiglione della Russia aveva presentato l’opera Lc 15: 11-32.
Ispirandosi alla parabola del ritorno del figliol prodigo raccontato nel Vangelo di Luca e all’opera di Rembrandt Il ritorno del figliol prodigo (1668), custodita all’Ermitage di San Pietroburgo, il regista Alexander Sokurov e l’artista teatrale Shishkin-Hokusai avevano realizzato l’installazione sull’eco sensoriale-emotivo dell’arte storica che permea la contemporaneità, rivelando l’universalità dell’arte che cela e svela il mistero del senso più profondo dell’esistenza umana.
Nel loro scritto, Vittoria Biasi e Edvige Bilotti alludono a scenari di guerra, interruzioni, squilibri geopolitici e culturali che annunciano la mutazione del panorama artistico con nuove sensibilità che disarticolano le possibilità di individuare i percorsi creativi dell’arte. Inquietudini, pressioni ideologiche e linguistiche circondano le solitudini esistenziali e tentano di occultare il desiderio di umanità sotteso ai dibattiti e alle questioni sociali. Le problematicità umane, spesso descritte, inserite in disamine più ampie, non hanno un seguito in riflessioni progettuali costruttive a causa della loro difficoltà e diversità di interessi.
Alcune delle artiste selezionate per la 59^ Biennale, da Simone Leigh, rappresentante degli Stati Uniti, a Zineb Sedira della Francia, a Sonia Boyce della Gran Bretagna, a Malgorzata Mirga-Tas della Polonia, sembrano il frutto di un algoritmo attentamente studiato per rispondere all’esigenza di fare i conti con le criticità mai risolte di un passato che diventano (le criticità) sempre più “invadenti”.
Le domande che le autrici si pongono – in che modo l’arte recupera le minoranze etniche? Come sono affrontate dal punto di vista artistico? In che modo la tematica delle minoranze rientra come portatrice di complessità culturale, storica, geopolitica e non come rappresentazione di una condizione sociale?7 – sembrano rivelare l’incapacità dell’arte di rappresentare la realtà.
E questo perché spesso le opere sono create in modo decontestualizzato e didascalico. Basti a titolo di esempio l’opera Last Garment di Simone Leigh ispirata alla fotografia Mammy’s Last Garment (1899) di Carleton Harlow Graves.
In questo modo, l’arte si fa narrazione ordinaria dove i temi e i contenuti socio-antropologici o ideologici di razzismo e misoginia rischiano di prevalere sul valore artistico delle opere […] La rappresentazione diviene altro dalla drammaticità che ha segnato molte civiltà non europee8.
A protezione dal rischio di un’arte descrittiva fuorviante delle civiltà, che le priva dei suoi contenuti essenziali, le autrici ricordano l’opera Voces Indigenas, presentata nella citata Biennale del 2015, nel Padiglione dell’America Latina9. L’opera è nel suono, nel suo avvolgimento, nella forza emotiva di tonalità che prendono forma quando il visitatore si avvicina e ne cattura il dolore, la pregnanza semantica e artistica. Un’opera estrema ambientata in un’atmosfera senza interferenza di immagini e in cui i linguaggi mettono in luce le implicazioni relative all’identità10.
Un importante segnale viene dalla 60^ Biennale: da due artiste di differenti paesi e culture. Shi Hui, nel Padiglione della Cina, con l’opera Writing-non-Writing affida alla monocromia bianca della polpa di cellulosa la sua ricerca sulle trasformazioni della calligrafia cinese dalle origini alla contemporaneità11. Manal AlDowayan, artista rappresentante il Padiglione dell’Arabia Saudita, presenta l’opera Shifting Sands: A Battle Song costituita da grandi sculture disposte come pagine verticali dalla forma di petali di rose del deserto. Un canto unisono di donne, rituale, avvolge il labirinto di sculture e le parole dei testi riportati sulle superfici setose dei petali. Le artiste creano una visione cosmologica dell’arte di dolore e negazione.
Il messaggio che le autrici vogliono consegnare è comunque di speranza: per quanto usurpata, violentata e manipolata, l’arte ha la capacità di resistere poiché contiene in sé il sacré dell’uomo, che va oltre lo stesso uomo ed il suo tempo.
1 C. Ginzburg. Il filo e le tracce. Vero falso finto, Feltrinelli Milano, 2006, pag. 16, in op. cit. Biennali. Sogni dell’arte e sfide della realtà
2 Fiorella Rizzo, Il vero nella finzione dell’arte in Biennali. Sogni dell’arte e Sfide della realtà, Fermenti editore, Roma 2023, pagg. 35-38
3 Fëdor Dostojewski, L’idiota, Einaudi 1991
4 Fiorella Rizzo, op. cit. pag. 35
5 Ivi, pag. 36
6 Vittoria Biasi, Edvige Bilotti, op. cit. pag. 14
7 Ivi, pag. 31
8 Ivi, pagg. 31-32
9 Ivi, pag. 33
10 ibidem
11 Cfr. Qinggang Xiang, Shi Hui, Writing-Non-Writing