Maria Lai è stata l’artista che poeticamente ha letto le microstorie, le leggende della sua Sardegna, componendole in un linguaggio rivolto al superamento del confine isolano. Fin dalle prime opere, il suo sguardo è rivolto a raccogliere tracce archetipe di fenomeni sociali o naturali fino a raggiungere la monocromia bianca e nera nella fine degli anni 60. Nella prima metà del Novecento il pittore sassarese Giuseppe Biasi ha guidato la percezione dei suoi personaggi in un panorama internazionale con la forza e la fierezza dei segni cromatici che si pongono oltre la composizione del racconto. L’opera di Maria Lai nasce dalla visione immersa nello spazio attraversato da racconti, da materiali, da segnali, che l’artista recupera e modella nell’estetica del dialogo con le asperità della materia. I linguaggi estremi del filo, della cucitura, delle copertine di pane per i suoi libri sono il segno ultimo del suo sé. La presenza di Maria Lai nella 57. Biennale di Venezia Viva Arte Viva di Christine Macel accanto a molti altri artisti che hanno indicato una storia ancora da scrivere è un evento importante, una rivincita storica!
Tra le molte persone dell’ambiente romano vicine a Maria Lai incontro Stefania Miscetti che ha molto condiviso con l’artista.
V.B. La vita, l’opera di Maria Lai, mi toccano in modo molto personale, dalla cucitura alla monocromia bianca e ancora oggi sto cercando un metro per collocarla nel mio universo concettuale e umano. Forse mi puoi aiutare raccontandomi come inizia la tua storia con lei?
Stefania Miscetti. Ho avuto la fortuna di incontrare Maria Lai nel 1970 quando, appena iscritta alla facoltà di architettura, insieme ad un piccolo gruppo di studenti miei coetanei trovammo ospitalità per preparare i nostri esami nel suo studio. Il rapporto quotidiano con il suo mondo era pieno di sorprese e di incontri : l’ amore per la bellezza e lo stupore di fronte a tutto ci faceva passare dall’ascoltare la sua visione del Cristo del Mantegna ad andare a teatro o ritrovarci di fronte al televisore a vedere insieme Carmelo Bene, che Maria amava molto.
Posso dire che il mio primo contatto con il mondo dell’arte sia avvenuto proprio attraverso di lei e l’unico recinto dell’arte che mi ha mostrato ed ho accettato è il rigore: la disciplina, l’esercizio del ritmo nella continuità del fare, la ricerca della concentrazione del pensiero attraverso l’isolamento, comunque proiettato all’incontro prolifico con il lavoro e le idee degli altri.
V.B. Le microstorie verso cui Maria Lai ha rivolto l‘interesse sono divenute performance, con approfondimenti, estensioni editoriali come fiabe cucite. Qual è stata la tua esperienza a proposito della leggenda di Maria Pietra? Con quale ruolo hai partecipato alla realizzazione della performance e ai progetti successivi, tra cui Legarsi alla Montagna?
S.M. L’elaborazione poetica della leggenda di Maria Pietra è avvenuta negli anni settanta sotto i nostri occhi : i pani meravigliosi a forma di angeli, mostri e merletti che erano l’unico contributo di Maria alle cene di studio ( odiava cucinare) erano già le sculture che poi divennero parte delle sue installazioni, come pure i suoi primi esperimenti di ‘disegno’ con la macchina da cucire.
Teneva sempre in esercizio le sue doti di affabulazione inventando storie a partire da quelle della sua terra ma anche da piccoli pensieri e frasi dei suoi allievi a scuola per poi tradurre il racconto in immagini usando materiali e tecniche tradizionali e non, ma sempre con una naturale e forte identità contemporanea. Ci parlò molto della leggenda che poi divenne il fulcro poetico della performance Legarsi alla Montagna e alla quale dedicò moltissimo tempo di preparazione con le persone del luogo, mentre noi da Roma partecipammo solo nei giorni finali alla grande inaugurazione ‘corale’.
V.B. Sei Stata a Documenta?
S.M. Visitando Documenta, ad Atene, mi si è aperto il cuore quando ho visto questa grande sala con opere di Maria. E’ stata veramente una felicità. Anche se poi si fanno le solite considerazioni: avrebbe meritato essere protagonista della scena internazionale ben prima.
V.B. E anche con un linguaggio tradizionalmente riferito al femminile!!!
S.M. Non ha mai fatto differenza di genere: è la donna più naturalmente autoritaria e in qualche modo maschile che io abbia mai conosciuto pur conservando una femminilità incredibile. E’ stata sempre naturalmente seducente: con quell’aspetto minuto, riservato riusciva ad essere accogliente, quasi vezzosa sempre con grande sicurezza e anche severità.
La naturalezza con la quale ha prodotto e comunicato i suoi progetti trascinando e coinvolgendo in imprese di dimensioni inusuali persone di ogni estrazione culturale e sociale è quella propria dell’artista, al di là delle differenze di genere, alle quali non ha per altro mai fatto riferimento, nonostante abbia, in molti cicli del suo lavoro, fatto uso di tecniche tradizionalmente legate al lavoro femminile.
V.B. Come hai vissuto la presenza di Maria Lai nella manifestazione “Imparare da Atene” nella Documenta di Adam Szymczyk che sembra sia un’interrogazione su ciò che resta della democrazia. Dico ciò in riferimento alla vita familiare, artistica, di donna, al di là dell’emozione per la sua presenza in un contesto eletto?
S.M. Lo spazio dedicato a Maria Lai è molto ampio e ricco di opere, di cui purtroppo qualcuna non esposta al meglio, in particolare uno dei suoi telai più belli poggiato su una base e un grande telo cucito messo intorno ad un grande pilastro. Soprattutto il lavoro non era accompagnato da una riga d’inquadramento, ad onore del vero non solo per lei, ma neppure per gli altri artisti: è stata una scelta curatoriale decisa e anche interessante per alcuni versi. Certo forse sarebbe stato opportuno avere un racconto sul come e quando erano state concepite alcune opere. In particolare la performance Legarsi alla montagna del 1981, documentata dalle bellissime foto di Piero Berengo Gardin, secondo me avrebbe meritato per lo meno qualche riflessione introduttiva per far cogliere il valore dell’opera stessa in rapporto al territorio e al contesto sociale: un’opera veramente anticipatrice di tante tematiche di oggi.
V.B. Avendo condiviso direi “il periodo che conta” della vita di Maria Lai hai potuto riconoscere e valutare l’importanza della sua arte a livello nazionale e oltre. Cosa in particolare, oltre il fascino e la fede nel suo mondo, ha sollecitato il vostro rapporto espositivo? E che valore l’arte di Maria Lai ha avuto per la sua terra?
S.M. Credo che la Sardegna e il suo paese Ulassai debbano molto alla sua opera, ai suoi interventi ambientali e alle numerose installazioni permanenti. Il lavoro che ha preceduto la fase finale della performance Legarsi alla montagna è stato profondamente incisivo: con una lunga e paziente opera di ‘parola’ è riuscita a trasformare rapporti di amicizia e non in un impressionante segno collettivo a livello paesaggistico, fatto di nastro e di pani che passando di fronte ad ogni porta del paese ne indicavano i legami. Anche il lavoro di preparazione del nastro, che proveniva da una grande quantità di tessuto jeans dato da uno sponsor tecnico, come definiremmo oggi l’illuminato commerciante del luogo, è stato oggetto di fotografie in bianco e nero di Berengo Gardin: i volti e le teste avvolte nei fazzoletti neri delle donne che tagliano il tessuto insieme sembrano emergere da un rito senza tempo.
Ha lasciato numerosi interventi sul territorio, sempre a partire da indagini profonde di tradizioni, leggende e rapporti sociali e sempre tendendo ad ‘ inventare altri spazi’.
V.B. Come definiresti l’arte di Maria Lai?
S.M. Impossibile da inquadrare in una categoria precisa: ricerca e progettualità inesauribile hanno portato Maria Lai a sconfinamenti continui ed in questo leggo una sua assoluta contemporaneità. Anche se per me la sua attitudine e grande capacità scultorea è quella che emerge in tutto il suo lavoro, dai disegni a matita ai telai, ai libri cuciti o quelli di pane. Ha sempre letto lo spazio: lo ha padroneggiato dal piccolo dipinto alla grande installazione.
E’ sempre stata un’artista che ha studiato, ha insegnato, non è mai entrata volutamente in nessuna corrente ma era cresciuta con critici di riferimento quali Marcello Venturoli, Francesco Vincitorio e Mirella Bentivoglio e con loro ha stretto un dialogo intenso e continuativo.
V.B. Qual è il retaggio culturale di Maria Lai?
S.M. Ha avuto la fortuna di un padre assolutamente aperto, che ha condiviso il suo progetto quando lei, giovane ragazza, ha chiesto di andare a studiare a Venezia, dove è avvenuto l’incontro fondamentale con Arturo Martini. Indipendenza e libertà sono stati insieme al rigore e alla curiosità le caratteristiche che l’hanno sempre guidata e che ci lascia come ‘filo’ da seguire. Non ha mai amato definizioni e recinti e ha sempre dato una grande importanza al fare e alla coerenza etica dell’esistenza.
V.B. Che importanza ha avuto questa storia per te?
Per me è stato un vero privilegio vederla lavorare con tanta generosità e apertura dando sempre importanza all’ascolto degli altri.
V.B. Cha rapporto c’è tra arte, poetica, materiali e Maria Lai?
S.M. Ha sempre usato con disinvoltura qualsiasi materiale non mitizzandolo mai, senza privilegiarne alcuno, né tra quelli tradizionali della pittura e scultura né tra quelli intesi in senso più ampio, dallo scritto di un bambino, alla poesia o la musica dei suoi pochi ma veri amici artisti. A tutto questo suo mondo di materiali si è rapportata sempre con freschezza, sicurezza, umiltà straordinaria. Era molto umile nel guardare, nell’ascoltare e questa disinvoltura nel considerare la creatività a tutto tondo per me è stato un grandissimo insegnamento: quando ho iniziato con la galleria ventotto anni fa, il fatto che io non facessi solo pittura o solo scultura o solo donne o solo stranieri non sempre è stato ben compreso, ma credo che derivi da una libertà e un’apertura che ho sicuramente preso da lei.
V.B Maria Lai è un personaggio storico che ha ben interpretato l’energia degli anni ’60 delle nuove avanguardie con un linguaggio culturalmente identitario, tradizionalmente trasgressivo. Cosa pensi della presenza di Maria Lai nella 57. Biennale di Venezia, nella mostra di Christine Macel? Risponde alla ricerca dell’umanesimo di cui parla la curatrice.
S.M. Sono andata alla Biennale senza pregiudizi ma purtroppo ne esco molto delusa, in particolare mi sembra che fosse privilegiato un aspetto artigianale quasi decorativo dell’arte delle molte donne presenti: il contrario esatto di quello di cui abbiamo parlato finora riguardo Maria Lai.
La sua arte è stata sempre sorprendente, capace di seguire rotte e suggerimenti provenienti dalla storia e dal presente senza il timore di usare tecniche diverse ed esplorare nuovi linguaggi, trasgressiva innanzitutto con se stessa e mai piegata a logiche di mercato.
Tra le molte persone dell’ambiente romano vicine a Maria Lai incontro Stefania Miscetti che ha molto condiviso con l’artista.
V.B. La vita, l’opera di Maria Lai, mi toccano in modo molto personale, dalla cucitura alla monocromia bianca e ancora oggi sto cercando un metro per collocarla nel mio universo concettuale e umano. Forse mi puoi aiutare raccontandomi come inizia la tua storia con lei?
Stefania Miscetti. Ho avuto la fortuna di incontrare Maria Lai nel 1970 quando, appena iscritta alla facoltà di architettura, insieme ad un piccolo gruppo di studenti miei coetanei trovammo ospitalità per preparare i nostri esami nel suo studio. Il rapporto quotidiano con il suo mondo era pieno di sorprese e di incontri : l’ amore per la bellezza e lo stupore di fronte a tutto ci faceva passare dall’ascoltare la sua visione del Cristo del Mantegna ad andare a teatro o ritrovarci di fronte al televisore a vedere insieme Carmelo Bene, che Maria amava molto.
Posso dire che il mio primo contatto con il mondo dell’arte sia avvenuto proprio attraverso di lei e l’unico recinto dell’arte che mi ha mostrato ed ho accettato è il rigore: la disciplina, l’esercizio del ritmo nella continuità del fare, la ricerca della concentrazione del pensiero attraverso l’isolamento, comunque proiettato all’incontro prolifico con il lavoro e le idee degli altri.
V.B. Le microstorie verso cui Maria Lai ha rivolto l‘interesse sono divenute performance, con approfondimenti, estensioni editoriali come fiabe cucite. Qual è stata la tua esperienza a proposito della leggenda di Maria Pietra? Con quale ruolo hai partecipato alla realizzazione della performance e ai progetti successivi, tra cui Legarsi alla Montagna?
S.M. L’elaborazione poetica della leggenda di Maria Pietra è avvenuta negli anni settanta sotto i nostri occhi : i pani meravigliosi a forma di angeli, mostri e merletti che erano l’unico contributo di Maria alle cene di studio ( odiava cucinare) erano già le sculture che poi divennero parte delle sue installazioni, come pure i suoi primi esperimenti di ‘disegno’ con la macchina da cucire.
Teneva sempre in esercizio le sue doti di affabulazione inventando storie a partire da quelle della sua terra ma anche da piccoli pensieri e frasi dei suoi allievi a scuola per poi tradurre il racconto in immagini usando materiali e tecniche tradizionali e non, ma sempre con una naturale e forte identità contemporanea. Ci parlò molto della leggenda che poi divenne il fulcro poetico della performance Legarsi alla Montagna e alla quale dedicò moltissimo tempo di preparazione con le persone del luogo, mentre noi da Roma partecipammo solo nei giorni finali alla grande inaugurazione ‘corale’.
V.B. Sei Stata a Documenta?
S.M. Visitando Documenta, ad Atene, mi si è aperto il cuore quando ho visto questa grande sala con opere di Maria. E’ stata veramente una felicità. Anche se poi si fanno le solite considerazioni: avrebbe meritato essere protagonista della scena internazionale ben prima.
V.B. E anche con un linguaggio tradizionalmente riferito al femminile!!!
S.M. Non ha mai fatto differenza di genere: è la donna più naturalmente autoritaria e in qualche modo maschile che io abbia mai conosciuto pur conservando una femminilità incredibile. E’ stata sempre naturalmente seducente: con quell’aspetto minuto, riservato riusciva ad essere accogliente, quasi vezzosa sempre con grande sicurezza e anche severità.
La naturalezza con la quale ha prodotto e comunicato i suoi progetti trascinando e coinvolgendo in imprese di dimensioni inusuali persone di ogni estrazione culturale e sociale è quella propria dell’artista, al di là delle differenze di genere, alle quali non ha per altro mai fatto riferimento, nonostante abbia, in molti cicli del suo lavoro, fatto uso di tecniche tradizionalmente legate al lavoro femminile.
V.B. Come hai vissuto la presenza di Maria Lai nella manifestazione “Imparare da Atene” nella Documenta di Adam Szymczyk che sembra sia un’interrogazione su ciò che resta della democrazia. Dico ciò in riferimento alla vita familiare, artistica, di donna, al di là dell’emozione per la sua presenza in un contesto eletto?
S.M. Lo spazio dedicato a Maria Lai è molto ampio e ricco di opere, di cui purtroppo qualcuna non esposta al meglio, in particolare uno dei suoi telai più belli poggiato su una base e un grande telo cucito messo intorno ad un grande pilastro. Soprattutto il lavoro non era accompagnato da una riga d’inquadramento, ad onore del vero non solo per lei, ma neppure per gli altri artisti: è stata una scelta curatoriale decisa e anche interessante per alcuni versi. Certo forse sarebbe stato opportuno avere un racconto sul come e quando erano state concepite alcune opere. In particolare la performance Legarsi alla montagna del 1981, documentata dalle bellissime foto di Piero Berengo Gardin, secondo me avrebbe meritato per lo meno qualche riflessione introduttiva per far cogliere il valore dell’opera stessa in rapporto al territorio e al contesto sociale: un’opera veramente anticipatrice di tante tematiche di oggi.
V.B. Avendo condiviso direi “il periodo che conta” della vita di Maria Lai hai potuto riconoscere e valutare l’importanza della sua arte a livello nazionale e oltre. Cosa in particolare, oltre il fascino e la fede nel suo mondo, ha sollecitato il vostro rapporto espositivo? E che valore l’arte di Maria Lai ha avuto per la sua terra?
S.M. Credo che la Sardegna e il suo paese Ulassai debbano molto alla sua opera, ai suoi interventi ambientali e alle numerose installazioni permanenti. Il lavoro che ha preceduto la fase finale della performance Legarsi alla montagna è stato profondamente incisivo: con una lunga e paziente opera di ‘parola’ è riuscita a trasformare rapporti di amicizia e non in un impressionante segno collettivo a livello paesaggistico, fatto di nastro e di pani che passando di fronte ad ogni porta del paese ne indicavano i legami. Anche il lavoro di preparazione del nastro, che proveniva da una grande quantità di tessuto jeans dato da uno sponsor tecnico, come definiremmo oggi l’illuminato commerciante del luogo, è stato oggetto di fotografie in bianco e nero di Berengo Gardin: i volti e le teste avvolte nei fazzoletti neri delle donne che tagliano il tessuto insieme sembrano emergere da un rito senza tempo.
Ha lasciato numerosi interventi sul territorio, sempre a partire da indagini profonde di tradizioni, leggende e rapporti sociali e sempre tendendo ad ‘ inventare altri spazi’.
V.B. Come definiresti l’arte di Maria Lai?
S.M. Impossibile da inquadrare in una categoria precisa: ricerca e progettualità inesauribile hanno portato Maria Lai a sconfinamenti continui ed in questo leggo una sua assoluta contemporaneità. Anche se per me la sua attitudine e grande capacità scultorea è quella che emerge in tutto il suo lavoro, dai disegni a matita ai telai, ai libri cuciti o quelli di pane. Ha sempre letto lo spazio: lo ha padroneggiato dal piccolo dipinto alla grande installazione.
E’ sempre stata un’artista che ha studiato, ha insegnato, non è mai entrata volutamente in nessuna corrente ma era cresciuta con critici di riferimento quali Marcello Venturoli, Francesco Vincitorio e Mirella Bentivoglio e con loro ha stretto un dialogo intenso e continuativo.
V.B. Qual è il retaggio culturale di Maria Lai?
S.M. Ha avuto la fortuna di un padre assolutamente aperto, che ha condiviso il suo progetto quando lei, giovane ragazza, ha chiesto di andare a studiare a Venezia, dove è avvenuto l’incontro fondamentale con Arturo Martini. Indipendenza e libertà sono stati insieme al rigore e alla curiosità le caratteristiche che l’hanno sempre guidata e che ci lascia come ‘filo’ da seguire. Non ha mai amato definizioni e recinti e ha sempre dato una grande importanza al fare e alla coerenza etica dell’esistenza.
V.B. Che importanza ha avuto questa storia per te?
Per me è stato un vero privilegio vederla lavorare con tanta generosità e apertura dando sempre importanza all’ascolto degli altri.
V.B. Cha rapporto c’è tra arte, poetica, materiali e Maria Lai?
S.M. Ha sempre usato con disinvoltura qualsiasi materiale non mitizzandolo mai, senza privilegiarne alcuno, né tra quelli tradizionali della pittura e scultura né tra quelli intesi in senso più ampio, dallo scritto di un bambino, alla poesia o la musica dei suoi pochi ma veri amici artisti. A tutto questo suo mondo di materiali si è rapportata sempre con freschezza, sicurezza, umiltà straordinaria. Era molto umile nel guardare, nell’ascoltare e questa disinvoltura nel considerare la creatività a tutto tondo per me è stato un grandissimo insegnamento: quando ho iniziato con la galleria ventotto anni fa, il fatto che io non facessi solo pittura o solo scultura o solo donne o solo stranieri non sempre è stato ben compreso, ma credo che derivi da una libertà e un’apertura che ho sicuramente preso da lei.
V.B Maria Lai è un personaggio storico che ha ben interpretato l’energia degli anni ’60 delle nuove avanguardie con un linguaggio culturalmente identitario, tradizionalmente trasgressivo. Cosa pensi della presenza di Maria Lai nella 57. Biennale di Venezia, nella mostra di Christine Macel? Risponde alla ricerca dell’umanesimo di cui parla la curatrice.
S.M. Sono andata alla Biennale senza pregiudizi ma purtroppo ne esco molto delusa, in particolare mi sembra che fosse privilegiato un aspetto artigianale quasi decorativo dell’arte delle molte donne presenti: il contrario esatto di quello di cui abbiamo parlato finora riguardo Maria Lai.
La sua arte è stata sempre sorprendente, capace di seguire rotte e suggerimenti provenienti dalla storia e dal presente senza il timore di usare tecniche diverse ed esplorare nuovi linguaggi, trasgressiva innanzitutto con se stessa e mai piegata a logiche di mercato.
1991
Maria Lai performance La Leggenda di Maria Pietra Studio Stefania Miscetti |