Manifesta Nomade Europea di arte e cultura contemporanea nasce negli anni ’90 affidando all’arte la possibilità di una risposta al cambiamento politico, economico e sociale, dopo la fine della Guerra Fredda e le iniziative di integrazione.
Hedwig Fjjen è la fondatrice di Manifesta, biennale itinerante di arte contemporanea europea sorta a Rotterdam nel 1993, e quest’anno è la direttrice di Manifesta 12. Presente sul territorio di Palermo per lunghi periodi con importanti opportunità di conoscenza delle problematiche sociali, del patrimonio culturale, ha potuto proporre un’idea di biennale in sinergia con gli operatori del territorio per aprire, attraverso l’arte, possibili scenari di trasformazione. La concezione progettuale ha impresso una forte direzione agli eventi.
Le problematiche contemporanee si addensano nella città di Palermo, naturale crocevia del Mediterraneo e di un mondo che deve essere guardato attraverso la lente dell’arte.
Il teatro Garibaldi, antico luogo di produzione culturale, è scelto come sede di Manifesta 12 e fa parte della sezione City on Stage. Al suo interno sono esposte le opere di Chimurenga, Cooking Sections, Invernomuto, Wu Ming, Giorgio Vasta che saranno oggetto di incontri e dibattiti. Il titolo Manifesta 12. Manifesta Nomade Europea è, apparentemente, un progetto provocatorio nella storia degli eventi contemporanei: vuole comunicare una condizione quale aspetto contingente del nostro momento storico. In realtà lo spostamento, il superamento del confine, l’esodo, il ritorno o la ripartenza appartengono alla memoria storica delle società e alla loro formazione. Lo spostamento è come la guerra: è sempre in essere e non finisce mai anche se non ci coinvolge territorialmente. Da ciò deriva una sorta di inconciliabilità tra gli excursus secolari e la percezione del segmento nostro temporale invaso. Una convulsione di ricerche, di pensieri, di norme cerca una sintesi organizzativa efficace. La coerenza storica è fondata sul ‘movimento’. La vita, l’amore hanno la stessa origine, sono sempre in una condizione nascente, di perenne trasformazione storica e dell’uomo.
Il sindaco Leoluca Orlando riferisce che per descrivere visivamente il rapporto fra Manifesta 12 e gli eventi collaterali è stata scelta l’immagine di tre cerchi di dimensione crescente. L’immagine, di onde che si allargano coinvolgendo differenti espressività e livelli di cultura, è la massima rappresentazione dell’arte. In tal senso l’immagine di Giardino Planetario rappresenta interazione, l’interdipendenza, il dialogo che sono l’anima di Palermo. La stele funeraria del 1149, conservata nel Palazzo della Zisa, è una lapide in quattro lingue, ebraico, latino, greco, arabo e testimonia la convivenza e la coesione tra persone che sanno trasformare il luogo dell’attraversamento in luogo stanziale della cultura.
Yvan Goll in Appello all’arte scrive: L’arte è amore.
L’amore chiede di essere corrisposto è una questione bilaterale. L’amore richiede dei partecipanti, è una questione pubblica. Andrea Cusumano, Assessore alla Cultura del Comune di Palermo, indica in Giardino Planetario l’opera di apertura di Manifesta 12 e introduce il progetto 5x5x5 che prevede cinque residenze d’artista, cinque gallerie internazionali, cinque istituzioni di alta formazione accanto a molti eventi collaterali. Il concetto di Giardino Planetario è un riferimento all’omonima pubblicazione di Gilles Clément del 2008, autore del manifesto del Terzo Paesaggio guidato dall’attenzione verso le microstorie di piante “comuni” come di “piccoli” uomini, che crescono ai margini delle strade asfaltate, nel lembo di terra sfuggito al lastricato di importanti strutture. Il progetto Giardino Planetario: Coltivare la coesistenza ha una sezione sviluppata all’interno dell’Orto Botanico. Tra le opere, in relazione con il luogo, è rilevante l’installazione Lituation dell’artista Sud Africana Lungiswa Gqunta, che percepisce il giardino come uno spazio in cui le storie si conservano i segni, consumati, stratificati, dei passaggi perché la terra è custode. Lei è la guardiana degli spiriti ancestrali, che vivono accanto alle costruzioni e alle coltivazioni. La sacralità del giardino ispira la contestazione di Lungiswa Gqunta che vorrebbe innaffiare il paesaggio con un liquido infiammabile per accendere la rivoluzione delle masse, contro le nazioni arcobaleno, contro un mondo di tate e aiuto-giardinieri, contro l’annullamento delle identità. Il linguaggio dell’installazione è scolpito nelle simbologie degli elementi messi in dialogo: terriccio, bottiglie, petrolio, acqua, inchiostro. Lungiswa Gqunta incide un messaggio, una prospettiva storico-sociale oltre la sua persona e oltre qualunque narrazione inneggiando all’eroismo della terra e della sua memoria. L’artista è stata presente ad Atene , nell’edizione di Documenta 14 con il collettivo iQhiya, fondato nel 2015 da giovani donne di colore che studiavano a Città del Capo. Il movimento è una risposta collettiva alla marginalizzazione delle donne nel sistema dell’arte. Ogni membro del collettivo partecipa con le proprie esperienze e linguaggi artistici nel rispetto di un concetto comune di potere.
Il percorso artistico di Lungiswa Gqunta ha tra i suoi esordi l’opera monocroma Together, hand in hand, with our matches and our necklaces, we we shall liberate this country (13 aprile 1986). Nella didascalia del dittico bianco (101 x 70 cm) è scritto benzina su carta groffata. La superficie mostra l’impronta a sbalzo dei fiammiferi. Il lavoro è una costruzione coerente e meditata attorno alla non accettazione del sistema delle gallerie che privilegiano artisti uomini o bianchi.
Fiammiferi e petrolio sono elementi ritornanti nelle opere di Lungiswa Gqunta e hanno il legame con i discorsi infiammati di Winnie Mandela, considerato Madre della Nazione.
L’opera dell’Orto Botanico propone lo specchio di una realtà, di una lotta inimmaginabile, che usa la semplicità della parola riferita all’oggetto quotidiano per esplorarla nelle sue potenzialità oltre qualunque umanesimo.
Le problematiche contemporanee si addensano nella città di Palermo, naturale crocevia del Mediterraneo e di un mondo che deve essere guardato attraverso la lente dell’arte.
Il teatro Garibaldi, antico luogo di produzione culturale, è scelto come sede di Manifesta 12 e fa parte della sezione City on Stage. Al suo interno sono esposte le opere di Chimurenga, Cooking Sections, Invernomuto, Wu Ming, Giorgio Vasta che saranno oggetto di incontri e dibattiti. Il titolo Manifesta 12. Manifesta Nomade Europea è, apparentemente, un progetto provocatorio nella storia degli eventi contemporanei: vuole comunicare una condizione quale aspetto contingente del nostro momento storico. In realtà lo spostamento, il superamento del confine, l’esodo, il ritorno o la ripartenza appartengono alla memoria storica delle società e alla loro formazione. Lo spostamento è come la guerra: è sempre in essere e non finisce mai anche se non ci coinvolge territorialmente. Da ciò deriva una sorta di inconciliabilità tra gli excursus secolari e la percezione del segmento nostro temporale invaso. Una convulsione di ricerche, di pensieri, di norme cerca una sintesi organizzativa efficace. La coerenza storica è fondata sul ‘movimento’. La vita, l’amore hanno la stessa origine, sono sempre in una condizione nascente, di perenne trasformazione storica e dell’uomo.
Il sindaco Leoluca Orlando riferisce che per descrivere visivamente il rapporto fra Manifesta 12 e gli eventi collaterali è stata scelta l’immagine di tre cerchi di dimensione crescente. L’immagine, di onde che si allargano coinvolgendo differenti espressività e livelli di cultura, è la massima rappresentazione dell’arte. In tal senso l’immagine di Giardino Planetario rappresenta interazione, l’interdipendenza, il dialogo che sono l’anima di Palermo. La stele funeraria del 1149, conservata nel Palazzo della Zisa, è una lapide in quattro lingue, ebraico, latino, greco, arabo e testimonia la convivenza e la coesione tra persone che sanno trasformare il luogo dell’attraversamento in luogo stanziale della cultura.
Yvan Goll in Appello all’arte scrive: L’arte è amore.
L’amore chiede di essere corrisposto è una questione bilaterale. L’amore richiede dei partecipanti, è una questione pubblica. Andrea Cusumano, Assessore alla Cultura del Comune di Palermo, indica in Giardino Planetario l’opera di apertura di Manifesta 12 e introduce il progetto 5x5x5 che prevede cinque residenze d’artista, cinque gallerie internazionali, cinque istituzioni di alta formazione accanto a molti eventi collaterali. Il concetto di Giardino Planetario è un riferimento all’omonima pubblicazione di Gilles Clément del 2008, autore del manifesto del Terzo Paesaggio guidato dall’attenzione verso le microstorie di piante “comuni” come di “piccoli” uomini, che crescono ai margini delle strade asfaltate, nel lembo di terra sfuggito al lastricato di importanti strutture. Il progetto Giardino Planetario: Coltivare la coesistenza ha una sezione sviluppata all’interno dell’Orto Botanico. Tra le opere, in relazione con il luogo, è rilevante l’installazione Lituation dell’artista Sud Africana Lungiswa Gqunta, che percepisce il giardino come uno spazio in cui le storie si conservano i segni, consumati, stratificati, dei passaggi perché la terra è custode. Lei è la guardiana degli spiriti ancestrali, che vivono accanto alle costruzioni e alle coltivazioni. La sacralità del giardino ispira la contestazione di Lungiswa Gqunta che vorrebbe innaffiare il paesaggio con un liquido infiammabile per accendere la rivoluzione delle masse, contro le nazioni arcobaleno, contro un mondo di tate e aiuto-giardinieri, contro l’annullamento delle identità. Il linguaggio dell’installazione è scolpito nelle simbologie degli elementi messi in dialogo: terriccio, bottiglie, petrolio, acqua, inchiostro. Lungiswa Gqunta incide un messaggio, una prospettiva storico-sociale oltre la sua persona e oltre qualunque narrazione inneggiando all’eroismo della terra e della sua memoria. L’artista è stata presente ad Atene , nell’edizione di Documenta 14 con il collettivo iQhiya, fondato nel 2015 da giovani donne di colore che studiavano a Città del Capo. Il movimento è una risposta collettiva alla marginalizzazione delle donne nel sistema dell’arte. Ogni membro del collettivo partecipa con le proprie esperienze e linguaggi artistici nel rispetto di un concetto comune di potere.
Il percorso artistico di Lungiswa Gqunta ha tra i suoi esordi l’opera monocroma Together, hand in hand, with our matches and our necklaces, we we shall liberate this country (13 aprile 1986). Nella didascalia del dittico bianco (101 x 70 cm) è scritto benzina su carta groffata. La superficie mostra l’impronta a sbalzo dei fiammiferi. Il lavoro è una costruzione coerente e meditata attorno alla non accettazione del sistema delle gallerie che privilegiano artisti uomini o bianchi.
Fiammiferi e petrolio sono elementi ritornanti nelle opere di Lungiswa Gqunta e hanno il legame con i discorsi infiammati di Winnie Mandela, considerato Madre della Nazione.
L’opera dell’Orto Botanico propone lo specchio di una realtà, di una lotta inimmaginabile, che usa la semplicità della parola riferita all’oggetto quotidiano per esplorarla nelle sue potenzialità oltre qualunque umanesimo.