Testo e intervista di Simona Brunetti
Roma – 5 Aprile 2024 by Simona Brunetti
Il tema del dialogo con la storia e con i grandi maestri del passato attraversa da sempre il lavoro di Fiorella Rizzo.
Sin dai suoi primi decollage su carta degli anni Settanta, in cui la parola PRESENTE diventa sempre più evanescente fino a perdersi nel bianco del foglio, l’artista rappresenta l’impossibilità di scrivere il tempo ma anche, per citare i suoi stessi scritti, un tentativo di distruggere il carattere lineare del discorso e del pensiero. Perché la vita e l’arte non procedono in modo lineare e non appartengono al tempo ordinario.
Nella sua arte, la dimensione spazio-tempo abbandona ogni linearità per rifugiarsi in una visione circolare in cui ciò che accade ed è visibile oggi, rappresenta potenzialmente un punto di inizio oppure di fine nel grande racconto della storia.
In questa visione che riduce, e talvolta elimina del tutto, le distanze culturali e temporali in nome dell’arte, l’artista interroga i grandi del passato – in primis Dürer e Michelangelo – che hanno ispirato e guidato il suo immaginario in un dialogo intimo, scevro da qualsiasi retorica o attitudine meramente ossequiosa nei confronti di tali figure monumentali. Un dialogo di carattere maieutico lungo una via della sapienza che tutto comprende e tutto trasforma, in un processo di continua rinascita.
Da queste suggestioni nasce il progetto Via della Sapienza. Per uno strano irrompere di circostanze, l’artista scopre che questo è l’originario nome di Corso Rinascimento, storica via del centro della Capitale che costeggia Piazza Navona. È dall’antica toponomastica che scaturisce il nome della chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, magniloquente e iconica architettura del Borromini, oggi sede dell’Archivio Centrale di Stato. È il 2014. Per l’artista questa scoperta rappresenta una vera e propria folgorazione. Da qui parte il lungo processo di elaborazione dell’opera – definita non a caso come unitaria e percepita come tale per le sue caratteristiche di omogeneità e di dialogo ben costruito con lo spazio, pur nel suo dispiegarsi in vari interventi distribuiti nelle singole teche – che oggi è possibile ammirare nella Sala Alessandrina del complesso borrominiano, tra gli affreschi seicenteschi e i preziosi tomi che raccolgono documenti di ogni epoca.
L’archivio stesso diventa materiale artistico che le consente di far riemergere, nel dialogo con la grafia e i simboli che appartengono al suo immaginario, storie marginali o rimosse.
Nella Via della Sapienza la fusione tra sapere storico e sapere contemporaneo genera nuove tassonomie basate su criteri non oggettivi o freddamente classificatori come quelli osservati nell’organizzazione di un archivio. La scelta dei documenti s’inserisce nell’ambito di una visione artistica che riporta l’attenzione, fissandole con mani dorate – i calchi delle sue mani – che pesano sui cartigli tenendoli dispiegati e leggibili, su questioni storiche, sociali, identitarie ancora attuali.
S.B: Giordano Bruno, Francesco Borromini, Aldo Moro, Bellezza Orsini… quali sono stati i processi che hanno portato alla scelta di questi illustri interlocutori?
F.R. Prima di iniziare a parlare degli illustri interlocutori storici presenti con i preziosi documenti dell’Archivio di Stato di Roma in questa mia mostra, VIA DELLA SAPIENZA, devo accennare al mio forte sentire gli artisti e gli uomini di cultura in generale sempre contemporanei.
Ho scritto:
Si consuma solo ciò che appartiene al tempo
il tempo nell’Arte è solo nel suo farsi linguaggio (1)
La separazione tra passato, presente e futuro per noi fisici convinti non ha che il valore di un’illusione, anche se tenace. (Albert Einstein)
Anche per noi artisti convinti. (2)
Il dialogo con gli artisti del passato inizia con lo studio della Storia dell’Arte e quelle prime preferenze segnano anche la nostra storia di artisti. Michelangelo da subito molto amato è diventato sin da giovanissima il mio interlocutore preferito. Nel 1976 ho scritto proprio sulla mano del David, ovvero sulla sua mano: Penso in anni luce agisco in secondi. Dürer è l’incontro sulla via alchemica: la Melancolia con quello stallo sulla via della conoscenza mi ha impegnata per giungere alla risoluzione di quell’enigma nel 1977.
Questa premessa è una chiave di lettura un pò di tutto il mio lavoro. Con la sua domanda lei si è soffermata su una esperienza agli inizi del mio percorso artistico. Nelle opere del 1975 dimostro l’impossibilità di scrivere il tempo. Scrivendo la parola presente si è già nel passato e nel futuro prima che si sia finito di scriverla e da qui solo fogli bianchi con le ombre delle lettere attaccate e staccate. Dai primi anni ’70 emerge in me con chiarezza il rifiuto della linearità del pensiero come forma di conoscenza: una tematica di cui la più forte testimonianza sono quelle asce conficcate nelle teste dei dieci mezzibusti dell’opera Genetliaco 1981-82, che tanto spaventò all’epoca. Non fu, infatti, esposta alla Biennale di Venezia del 1982 perché considerata Troppo forte.
Circostanze davvero straordinarie hanno portato alla realizzazione della mostra VIA DELLA SAPIENZA. La perseveranza della gallerista Stefania Miscetti di darle un luogo che potesse accoglierla in dialogo e l’incontro con il Direttore dell’Archivio di Stato Michele Di Sivo le hanno permesso di trovare il suo luogo ideale nel Complesso di Sant’Ivo alla Sapienza, nel Loggiato e nella Sala Alessandrina nel 2023. Questa intensa intesa fra noi ha creato le condizioni per individuare e condividere anche i documenti che potessero dialogare con le mie opere. Avevo già scritto e disegnato tra i tanti aforismi dell’opera LAPIDARIO frasi di Francesco Borromini e Giordano Bruno, ma avere i loro documenti, quella lettera dettata da Borromini in punto di morte e quel silenzio di Giordano Bruno prima di morire è stato emozionante. Ma anche il quaderno di Bellezza Orsini, di cui non conoscevo la drammatica storia, e la straordinaria lettera di Aldo Moro prigioniero delle Brigate rosse. Sono state molto interessanti le proposte del più lungo telegramma del mondo di Umberto Nobile dopo la scoperta dell’Artide e l’incisione dell’opera di Pietro da Cortona La Sapienza che sconfigge i Titani.
L’intero progetto mi ha impegnata per quasi dieci anni, un impegno che ho alternato con altre opere e mostre.
S.B. Gli oggetti collocati nelle teche insieme ai documenti sono una sorta di transustanziazione di quanto viene descritto dalle scritture più o meno leggibili a seconda delle epoche all’interno dei documenti. Sculture dorate simili ad amuleti con carattere propiziatorio, anch’essi inseriti in un discorso alchemico di trasformazione. È questo il motivo per cui lei ha scelto l’oro come elemento che ricopre le sculture e ricorre nella grafia dei suoi scritti?
F.R. Nelle bacheche i calchi delle mie mani con foglia d’oro aprono e fermano i miei MANOSCRITTI disposti in dialogo con i documenti storici: su quei grandi fogli ho inserito oggetti e piccole sculture. Dal grande chiodo d’oro per Bellezza Orsini, trasmutazione di quel chiodo trovato nella cella in cui si tolse la vita, alla lunga lancia d’oro per Francesco Borromini, trasmutazione di quella spada con cui si trafisse. Le due sculture d’oro, in cui ho modellato delle labbra, sono posizionate in due differenti bacheche: una frontale al telegramma di Umberto Nobile; l’altra laterale all’ultima lettera di Aldo Moro dice ancora la drammaticità della Storia alla Storia. Due grandi parentesi quadre dorate sono di fronte a Giordano Bruno per ricordare i suoi sigilli iscritti nel quadrato e la quadratura del cerchio. Ho disegnato, inoltre, un uovo in equilibrio su filo curvo d’oro tenuto sempre dai calchi delle mie mani per dialogare con l’incisione della Sapienza che sconfigge i Titani di Pietro da Cortona.
In un’antica bacheca ottagonale ho posato otto lingue sempre ricoperte da foglia d’oro su otto fogli con un mio scritto:.
Vorrei una lingua d’oro come un’antica mummia egizia per dire l’indicibile.
S.B. Bellezza Orsini è l’unico personaggio femminile tra quelli scelti. Baluardo di una sapienza percepita come pericolosa in quanto appartenente ad una donna, Bellezza è un simbolo di straordinaria forza e al tempo stesso di fragilità estrema. Quanto il destino di questa donna può essere accostato a quello di tante donne di cui ancora il sistema dell’arte e più in generale il mondo della cultura stenta a riconoscere l’importanza?
F.R. Bellezza Orsini è stata una scoperta straordinaria dovuta proprio a Michele Di Sivo che se ne è occupato anche con un libro a lei dedicato. Ha approfondito questa figura di donna spinta nella sua ricerca da una forte sete di sapere, così come rivela il suo quaderno pervenutoci grazie a quel suicidio che ha permesso di salvare dal rogo sia il suo corpo e che quel prezioso documento. Scriveva:
Cusì è e cusì se fa…………. quante più cose cierchi de inparare tanto più sonno quelle che trovi da ‘nparare, che prima nemanco ne tenevi sentimento, e quanto più vai innanzi più voi ‘ire e non te ne cuntenti. Cusì è la strearia.
Questo paragonare la stregoneria alla conoscenza mi ha molto colpita e credo che solo una donna potesse affermare questa particolare verità. Perché, forse, per una donna è più facile sentire la sapienza scritta anche nel corpo. Oggi Bellezza Orsini sarebbe stata una scienziata: non avrebbe rischiato di essere bruciata viva, ma avrebbe avuto, sicuramente, nel suo lavoro maggiori difficoltà rispetto ad un uomo. Questo naturalmente lo è e lo è stato per le donne artiste ancora per tutto il novecento e perdura anche se la situazione è migliorata. Io sono un’artista che ha iniziato a lavorare in Italia negli anni settanta e credo di aver pagato un prezzo alto. Quando il Sistema, soprattutto in Italia, non ti sostiene, un artista è supportato solo da quella forza straordinaria che è l’Arte. Per una donna che persevera nella sua ricerca artistica questa è la fonte vitale insieme alla responsabilità che sa di avere di fronte all’Arte. Certo che se nel 1983 mi fossi trasferita a New York, come mi fu consigliato affinché le mie opere potessero essere conosciute e riconosciute subito a livello internazionale, avrei avuto sicuramente meno difficoltà. Questo l’ho potuto appurare dal successo che ho avuto in alcune mostre e incontri sia negli Stati Uniti che in Inghilterra. In Italia, è triste doverlo ammettere, ma oltre alla situazione economica che non le dà potere nel mercato internazionale, si aggiunge alcune volte anche il perdurare di pregiudizi che impoveriscono lo sguardo.
S.B. Il pensiero che si traduce in scrittura, in grafia elegante e stratificata in cui la lettera perde forma per divenire segno è un elemento che ricorre in molte sue opere recenti. Può raccontarci, alla luce di questa sensibilità, come il confronto con gli scritti dei personaggi illustri, di cui ha avuto modo di consultare i documenti, ha influenzato il ricco apparato di opere incentrate sulla scrittura che compaiono in questa mostra?
F.R. Ho usato spesso la scrittura nella mia ricerca artistica iniziando dalle opere sul tempo di cui si è parlato prima, quelle tracce impercettibili su fogli bianchi. Ho scritto spesso su alcune mie opere dei testi che ho utilizzato in varie occasioni. In LAPIDARIO ho scritto e disegnato alcuni miei aforismi accanto ai tanti aforismi scelti di artisti, scrittori, musicisti, filosofi e scienziati. È stato facile per me continuare a dialogare con i vari documenti, avendo iniziato già dal 2016. Nella sala Alessandrina sono stata veramente di fronte a quelle preziosissime testimonianze racchiuse in bacheche sigillate. La mia scrittura ha poi la particolarità di essere naturalmente sinuosa. Posso dire che scrivo disegnando e questo ha fatto sì che divenisse un vero omaggio anche per la sua qualità estetica.
S.B. All’ingresso del Complesso di Sant’Ivo alla Sapienza, lungo il ballatoio esterno che conduce alla Sala Alessandrina ritroviamo un’iscrizione su marmo che riporta il nome della Via e le sculture bidimensionali Campane, a cui lei ha lavorato moltissimo negli anni, riproponendole in vari materiali e formati. Gioco infantile ma anche percorso iniziatico che dalla terra conduce al cielo. Cosa ha significato per lei riportare le Campane lungo la VIA DELLA SAPIENZA?
F.R. Ho voluto rifare la targa di marmo dell’antica VIA DELLA SAPIENZA che fu rinominata nel 1936 con l’attuale nome di Corso Rinascimento. È stato un modo per vederla ripristinata nel presente, un invito a percorrerla. Infatti è stata collocata all’inizio della mostra nel Loggiato del Complesso di Sant’Ivo alla Sapienza. La mostra prosegue con cinque disegni diversi del gioco della campana collocati sul pavimento del Loggiato.
Sin dal 1979 ho fatto del gioco della campana un simbolo del percorso iniziatico che va dalla Terra al Cielo. L’ho disegnata più volte. Nel 1980 ho realizzato Campane di grandi dimensioni in terra rossa con vetri rotti conficcati nei bordi per sottolineare la difficoltà del percorso e spesso da disporre anche in verticale sulla parete. Una di queste fu esposta nella mostra Arte e Critica alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma nel 1981 e in seguito acquisita nella sua Collezione permanente. In questa mostra le ho realizzate in cementite bianca, bianca e nera, mentre l’ultima, prima di entrare nella Sala Alessandrina, è dorata.
S.B. Il CONVITO (2016-2021): lunga tavola apparecchiata con libretti-menù carichi di citazioni espresse in forma di eleganti grafemi, bicchieri-scultura, piccole sculture segna-posto dorate che svolgono la stessa funzione di contrappeso dei calchi delle mani d’oro sulle carte d’archivio. Il tutto su una tovaglia di raffinata fattura la cui trama lascia intravedere i più importanti monumenti del mondo. Come e perché ha scelto i diciotto commensali – diciotto sapienti – del conviviale banchetto che sintetizza quanto declinato attraverso le singole storie che la mostra sottrae al passato, rendendole oggetto di interesse e attenzione nel presente?
F.R. Inizio con una frase dal Simposio di Platone
…anche ai banchetti degli uomini (e le donne) di valore vanno spontaneamente gli uomini (e le donne) di valore
Il tavolo con la tovaglia bianca damascata con i vari monumenti del mondo è per diciotto commensali, diciotto sono i quaderni, diciotto i segnaposti in varie lingue e diciotto i talismani d’oro su piedi di cristallo, ma al centro vi sono ancora numerosi quaderni fermati da pietre d’oro. Individuata la propria lingua si è invitati a ricopiare quei testi sapienziali che ho scelto e scritto in lingua italiana. CONVITO è un’opera che quando l’ho ideata nel 2016 non pensavo che sarebbe stata esposta in un momento drammatico e così povero di Sapienti di fronte a queste guerre.
Fiorella Rizzo, Catalogo. Carlo Cambi Editore 2014
Fiorella Rizzo – Cripta Tipografia Spiga Roma 1991