15 Settembre 2019 by Donatella Pinocci
Jane Jin Kaisen, Community of Parting, 2019, film still
Padiglione Corea
Art Council Korea, Commissario del Padiglione Korea alla 58° Biennale di Venezia 2019, presenta la mostra History Has Failed Us, but No Matter curata da Hyunijin Kim, Lead Curator per l’Asia presso KADIST. Tre artiste sirene un young jung, Jane Jin Kaisen and Hwayeon Nam, provenienti da formazioni differenti sono state invitate a proporre una riflessione sulla veridicità della storia. La Korea presentando History Has Failed Us, but No Matter punta lo sguardo su personaggi non collocabili nella trascrizione storica dei fatti tradizionalmente accettati. Il titolo della mostra proviene dalla prima frase del romanzo PACHINKO dell’autrice Min Jin Lee, che significa letteralmente “La storia ci ha deluso, ma non importa”. L’intento della mostra coreana è di cercare attraverso ricerche mirate la veridicità dei fatti che riguardano personaggi controversi. La storia per definizione, dovrebbe essere tramandata attraverso l’esposizione ordinata di fatti ed avvenimenti umani del passato, risultati da un’indagine critica volta ad accertarne la verità (cit.vocabolario Treccani). Ma se è vero che la storia ci ha deluso l’occasione della mostra si prospetta come la possibilità di dar voce a personaggi che altrimenti sarebbero rimasti esclusi: quelli fuori dalle regole, gli invisibili, gli ultimi, quelli non collocabili nella storia ufficiale che resta legata all’ideologia nazionalista ottusamente condizionata dalla tradizione. La curatrice pone le tre artiste di fronte a tre domande per sviluppare riflessioni critiche sul presente.
Hyunijin Kim chiede loro di rapportarsi alla storia valutando: – chi ne canonizzi la sua definizione e quali aspetti restino esclusi e debbano ancora essere iscritti; piuttosto che – osservare quali cambiamenti verrebbero prodotti se si ri-analizzassero le stratificazioni storiche che demarcano l’Asia orientale ed i suoi miti; e ancora – cosa si scoprirebbe se indagassimo sulla storia della modernizzazione della Corea e dell’Asia orientale attraverso un’apertura di sguardo rivolta alle diversità di genere.
L’artista sirene un young jung vincitrice del Korea Artist Prize, investiga sul potere del desiderio individuale sulla percezione degli eventi mondiali. Riflettendo sulla capacità di questi di confluire in forme di resistenza che informano e formano la storia e la politica. L’artista ha documentato la performance dell’attrice gukgeuk di seconda generazione Lee Deung Woo (aka Lee Ok Chun) in A Performing by Flash, Afterimage, Velocity and Noise. Lo spettatore viene immerso in un ambiente audiovisivo trasgressivo, assordante acusticamente e “visivamente”. La ricerca dell’artista si è concentrata negli ultimi 10 anni sul yeoseong gukgeuk un genere teatrale tradizionale coreano, praticato solo da donne. Oggi, se pur in via di modernizzazione, sta scomparendo e l’artista documenta la genealogia della performance queer contemporanea e la convergenza di figure trasgressive che contestano i canoni estetici tradizionali: una musicista trans-gender, una performer, una regista disabile, un’attrice lesbica, ed una dragkink, accompagnati da suoni e luci ipnotici.
Hwayeon Nam propone un’installazione multimediale in cui l’artista verifica come il desiderio umano possa amplificare la percezione di alcuni miti e valori nazionali. Indaga su questo argomento attraverso un attento lavoro di archivio di analisi delle vicende che riguardano la vita di Choi Seung-hee ,controversa figura contemporanea, coreografa e ballerina, per estrapolare documenti significativi che la rappresentano.
La vita tumultuosa della donna leggendaria, che ha attraversato il ventesimo secolo nell’Asia Orientale, trova riscatto nella mostra che l’artista le dedica. La presentazione di Nam include video realizzati found footage, immagini di archivio, strutture scultoree ed un piccolo giardino allestito dietro il Padiglione. L’aspirazione della ballerina verso una danza est-asiatica piena di espressività, incanta lo spettatore e riscatta Choi da critiche superficiali, semplicistiche di ideologia nazionalista.
Jane Jin Kaisen è un’artista filmmaker che lavora a Berlino.Tratta il tema della memoria, stando sul confine tra storia individuale e collettiva. L’azione artistica tende a ricostruire vite che hanno attraversato traumi o drammi dovuti alla migrazione, scegliendo di rappresentare figure di donne sacrificali. Ripercorre, attraverso la propria visione artistica, il rapido processo di modernizzazione dell’Asia Orientale, che ha comportato: discriminazioni di genere, la diaspora femminile causata dalla guerra, dal nazionalismo, piuttosto che dell’oppressione patriarcale. Tratta temi legati al mito, con grande sensibilità e consapevolezza, come nel suo ultimo film Community of Parting nel quale reinterpreta l’antico mito coreano di Bari, in cui una figlia si sacrifica per i propri genitori diventando una divinità che intercede tra la vita e la morte. La mostra sarà visitabile fino al 24 novembre Al Padiglione della Korea presso Giardini della Biennale di Venezia.
Art Council Korea, Commissario del Padiglione Korea alla 58° Biennale di Venezia 2019, presenta la mostra History Has Failed Us, but No Matter curata da Hyunijin Kim, Lead Curator per l’Asia presso KADIST. Tre artiste sirene un young jung, Jane Jin Kaisen and Hwayeon Nam, provenienti da formazioni differenti sono state invitate a proporre una riflessione sulla veridicità della storia. La Korea presentando History Has Failed Us, but No Matter punta lo sguardo su personaggi non collocabili nella trascrizione storica dei fatti tradizionalmente accettati. Il titolo della mostra proviene dalla prima frase del romanzo PACHINKO dell’autrice Min Jin Lee, che significa letteralmente “La storia ci ha deluso, ma non importa”. L’intento della mostra coreana è di cercare attraverso ricerche mirate la veridicità dei fatti che riguardano personaggi controversi. La storia per definizione, dovrebbe essere tramandata attraverso l’esposizione ordinata di fatti ed avvenimenti umani del passato, risultati da un’indagine critica volta ad accertarne la verità (cit.vocabolario Treccani). Ma se è vero che la storia ci ha deluso l’occasione della mostra si prospetta come la possibilità di dar voce a personaggi che altrimenti sarebbero rimasti esclusi: quelli fuori dalle regole, gli invisibili, gli ultimi, quelli non collocabili nella storia ufficiale che resta legata all’ideologia nazionalista ottusamente condizionata dalla tradizione. La curatrice pone le tre artiste di fronte a tre domande per sviluppare riflessioni critiche sul presente.
Hyunijin Kim chiede loro di rapportarsi alla storia valutando: – chi ne canonizzi la sua definizione e quali aspetti restino esclusi e debbano ancora essere iscritti; piuttosto che – osservare quali cambiamenti verrebbero prodotti se si ri-analizzassero le stratificazioni storiche che demarcano l’Asia orientale ed i suoi miti; e ancora – cosa si scoprirebbe se indagassimo sulla storia della modernizzazione della Corea e dell’Asia orientale attraverso un’apertura di sguardo rivolta alle diversità di genere.
L’artista sirene un young jung vincitrice del Korea Artist Prize, investiga sul potere del desiderio individuale sulla percezione degli eventi mondiali. Riflettendo sulla capacità di questi di confluire in forme di resistenza che informano e formano la storia e la politica. L’artista ha documentato la performance dell’attrice gukgeuk di seconda generazione Lee Deung Woo (aka Lee Ok Chun) in A Performing by Flash, Afterimage, Velocity and Noise. Lo spettatore viene immerso in un ambiente audiovisivo trasgressivo, assordante acusticamente e “visivamente”. La ricerca dell’artista si è concentrata negli ultimi 10 anni sul yeoseong gukgeuk un genere teatrale tradizionale coreano, praticato solo da donne. Oggi, se pur in via di modernizzazione, sta scomparendo e l’artista documenta la genealogia della performance queer contemporanea e la convergenza di figure trasgressive che contestano i canoni estetici tradizionali: una musicista trans-gender, una performer, una regista disabile, un’attrice lesbica, ed una dragkink, accompagnati da suoni e luci ipnotici.
Hwayeon Nam propone un’installazione multimediale in cui l’artista verifica come il desiderio umano possa amplificare la percezione di alcuni miti e valori nazionali. Indaga su questo argomento attraverso un attento lavoro di archivio di analisi delle vicende che riguardano la vita di Choi Seung-hee ,controversa figura contemporanea, coreografa e ballerina, per estrapolare documenti significativi che la rappresentano.
La vita tumultuosa della donna leggendaria, che ha attraversato il ventesimo secolo nell’Asia Orientale, trova riscatto nella mostra che l’artista le dedica. La presentazione di Nam include video realizzati found footage, immagini di archivio, strutture scultoree ed un piccolo giardino allestito dietro il Padiglione. L’aspirazione della ballerina verso una danza est-asiatica piena di espressività, incanta lo spettatore e riscatta Choi da critiche superficiali, semplicistiche di ideologia nazionalista.
Jane Jin Kaisen è un’artista filmmaker che lavora a Berlino.Tratta il tema della memoria, stando sul confine tra storia individuale e collettiva. L’azione artistica tende a ricostruire vite che hanno attraversato traumi o drammi dovuti alla migrazione, scegliendo di rappresentare figure di donne sacrificali. Ripercorre, attraverso la propria visione artistica, il rapido processo di modernizzazione dell’Asia Orientale, che ha comportato: discriminazioni di genere, la diaspora femminile causata dalla guerra, dal nazionalismo, piuttosto che dell’oppressione patriarcale. Tratta temi legati al mito, con grande sensibilità e consapevolezza, come nel suo ultimo film Community of Parting nel quale reinterpreta l’antico mito coreano di Bari, in cui una figlia si sacrifica per i propri genitori diventando una divinità che intercede tra la vita e la morte. La mostra sarà visitabile fino al 24 novembre Al Padiglione della Korea presso Giardini della Biennale di Venezia.