15 Settembre 2019 by Donatella Pinocci
Ryoji Ikeda, SPECTRA III, photo by Donatella Pinocci
Orientemente
Alla 58° Biennale di Venezia 2019, In risposta al tema MAY YOU LIVE IN INTERESTING TIMES proposto da Ralph Rugoff, si apre un percorso ipotetico, che guarda all’ Oriente. Fino al 24 novembre 2019 sarà possibile confrontare i punti di vista di Cina , Giappone, Malaysia e Corea, che offrono grande diversità di visione rispetto all’arte di ambito asiatico. Storia, Tradizione, Natura, Universo e Creazione costituiscono tematiche esistenziali, rappresentate da visioni e rapporti di scala differenti. In alcuni casi i confini sensoriali dell’uomo vengono superati grazie all’ausilio dei linguaggi multimediali.
Armonie e dissonanze caratterizzano le risposte al tema della Biennale rispecchiando le trasformazioni epocali in atto viste dai diversi Paesi. Il Padiglione Giappone con Cosmo-eggs propone una riflessione sulla ecologia della coesistenza, all’interno del processo evolutivo della vita sul Pianeta Terra. Gli autori provenienti da formazioni culturali diverse: Motoyuki Shitamichi: artista, Taro Yasuno: compositore, Toshiaki Ishikura antropologo e Fuminori Nousaku architetto approdano ad un’installazione condivisa. (https://www.lebiennali.com/padiglione-giappone.html)
Padiglione Cina con la mostra dal titolo RE-睿 definisce uno spazio di ricerca e sperimentazione che riguarda i sistemi di connessione tra il reale e il virtuale. L’uso di nuovi linguaggi e tecnologie permette di incrementare la visione oltrepassando il limite percettivo umano, mentre nell’ancoraggio al passato si intravede un potenziale aiuto per superare i momenti di difficoltà e trovare la strada che riporta al Cuore. La visione degli artisti: Chen Qi, Fei Jun, He Xiangyu, Geng Xue può essere approfondita nell’ articolo PADIGLIONE CINA: ARTE COME SISTEMA DI CONNESSIONE TRA REALE E VIRTUALE. (https://www.lebiennali.com/padiglione-cina.html)
Malesia e Corea si interrogano l’una sulla veridicità dei fatti (multi-verità) l’altra sulla veridicità della storia. Il Padiglione Malesia, esordiente alla Biennale di Venezia, presso Palazzo Malipiero, con la mostra Holding Up a Mirror sposta l’attenzione sul rapido processo di trasformazione dell’Oriente, riflettendo sul concetto di identità individuale e nazionale visto da quattro artisti malesi Zulkifli Yusoff, H.H. Lim, Arinderendra Jegadeva e Ivan Lam. (https://www.lebiennali.com/padiglione-malesia.html)
Padiglione Korea ai Giardini, usa l’arte per ri-leggere e ri-trascrivere la storia attraverso la mostra History Has Failed Us, but No Matter. Questa rivolge l’attenzione alla vita di personaggi controversi, che altrimenti rimarrebbero invisibili alla memoria storica tramandata. La curatrice Hyunijin Kim si interroga e fa interrogare le tre artiste coinvolte: sirene un young jung, Jane Jin Kaisen and Hwayeon Nam sulla veridicità dei contenuti della storia. Attraverso elaborazione di documenti e raccolte d’archivio si ripercorre la vita di personaggi scomodi che trovano riscatto attraverso l’arte. (https://www.lebiennali.com/padiglione-corea.html)
La CINA all’Arsenale presenta gli artisti Sun Yuan e Peng Yu, che propongono un’istallazione Dear del 2015. Il visitatore viene sottoposto ad una esperienza emotiva provocata da un’azione violenta ed imprevedibile di un fuori controllo. Una pompa ad aria, un tubo nero di gomma ed una poltrona in silicone che simula la pietra, uniti all’osservazione attiva e reattiva dello spettatore, costituiscono gli elementi dell’opera. All’interno di un recinto trasparente è posizionata una poltrona bianca “in pietra” che simula un’antica seduta, ispirata alla poltrona imperiale romana esposta nel Museo Storico Lincoln Memorial di Washington: da questa si aziona una sorta di frusta, che colpisce alla cieca le pareti trasparenti in plexiglass che proteggono l’osservatore dai colpi.
La poltrona è pressurizzata, il tubo nero colpisce violentemente lo spazi circostante a causa di spruzzi d’aria imprevedibili, attivati ad intervalli di quiete apparente. La trasparenza delle pareti in plexiglass è segnata da graffi, che disegnano una sorta di ragnatela provocata dai colpi inflitti dal tubo. Il box protegge lo spettatore dalla violenza dei movimenti imprevedibili, ma non dal rumore scioccante prodotto dall’installazione. Sempre gli stessi artisti Sun Yuan e Peng Yu, ai Giardini, presentano Can’t Help Myself, 2016, un’installazione di grandi dimensioni racchiusa in un recinto costituito da pareti di vetro. Foto 5
All’ interno si muove il robot KUKA che rappresenta una sorta di essere meccanico catturato, ingabbiato ed esposto al pubblico. L’opera è stata già presentata in occasione della mostra Tales of Our Time al Salomon R. Guggenhein Museum di New York.
KUKA è un robot industriale programmato per gestire un fluido rosso vischioso (etere di cellulosa in acqua colorata) simile al sangue. La macchina tenta di continuo di riportare all’interno di una certa superficie il fluido, che segue percorsi autonomi e fuori controllo. I sensori che caratterizzano i movimenti di KUKA percepiscono il mutamento del flusso e lo riportano continuamente verso il centro della gabbia di vetro. I movimenti sono prodotti da un braccio meccanico (acciaio inossidabile e gomma) che oltre a muoversi in varie direzioni può ruotare di 360 gradi. Questa modalità di movimentazione ricorda quella delle articolazioni umanoidid. Gli artisti hanno addestrato la macchina a saper effettuare 32 movimenti che ricordano le movenze umane. La vischiosità del liquido, che tende a seguire percorsi liberi sfuggendo dal controllo della macchina, per Sun Yuan e Peng Yu, rappresenta l’elusività dell’Arte che fugge da qualsiasi tentativo di incasellamento e controllo.
Umanizzazione delle macchine, intelligenza artificiale, implementazione delle capacità umane attraverso supporti multimediali e virtuali definiscono una zona di fermento creativo che anticipa sicuramente cambiamenti epocali futuri.
Il GIAPPONE è rappresentato anche dalle proposte dell’artista e compositore Ryoji Ikeda (Japan, 1966) che vive e lavora a Parigi e Kyoto, sia ai Giardini che l’Arsenale. L’artista rappresenta l’uomo connesso continuamente a realtà multidimensionali ed immerso in enormi quantità di dati.
Con l’installazione SPECTRA III (2008/2019) ai Giardini l’artista definisce uno spazio di sovraesposizione luminosa in un punto di passaggio: un corridoio bianco, in cui una sequenza implacabile di tubi luminosi ed onde fluorescenti genera un cortocircuito mentale e sensoriale in chi lo attraversa. Passandoci si diventa parte di una smaterializzazione prodotta da flussi luminosi. Onde luminose abbagliando in modo accecante chi attraversa il percorso, producendo una condizione di overload difficilmente contenibile dai sensi. L’attacco della luce, spinge le persone al superamento del limite cognitivo che annulla le capacità umane di elaborare processi mentali logici. Procedendo si accelera il passo di fronte all’attacco della Luce, lo stato mentale di azzeramento di senso e sensi apre all’idea del Sublime.. Il frastuono visivo è tale da rendere invisibile lo spazio per l’abbagliamento prodotto. Foto 6 e video 6 (scegliere se con taglio orizzontale o vericale). Sia l’eccesso, che la mancanza di luce portano alla cancellazione della percezione spaziale, infatti, sovraesposizione luminosa e buio si incontrano nell’azzeramento percettivo della vista,
Dalla Luce dell’installazione Spectra III ai Giardini, si passa al buio della proposta di Ryoji Ikeda per l’Arsenale. Un grandissimo schermo proietta flussi enormi di codici e suoni, definendo un’immersione sensoriale in scenari volti a destabilizzare e confondere l’osservatore. Questo progetto costituisce la prima parte di una trilogia intitolata Data-Verse.
L’oriente conserva memoria e tradizione da cui trarre identità e forza, ma guarda al futuro con interesse e coraggio, oscillando sperimentalmente tra reale e virtuale, robotica e intelligenza artificiale.
Orientemente: termine utilizzato nel titolo, è stato coniato da Paolo Aita ( Poeta, Critico d’Arte e Critico Musicale, traduttore di poesie cinesi).
Alla 58° Biennale di Venezia 2019, In risposta al tema MAY YOU LIVE IN INTERESTING TIMES proposto da Ralph Rugoff, si apre un percorso ipotetico, che guarda all’ Oriente. Fino al 24 novembre 2019 sarà possibile confrontare i punti di vista di Cina , Giappone, Malaysia e Corea, che offrono grande diversità di visione rispetto all’arte di ambito asiatico. Storia, Tradizione, Natura, Universo e Creazione costituiscono tematiche esistenziali, rappresentate da visioni e rapporti di scala differenti. In alcuni casi i confini sensoriali dell’uomo vengono superati grazie all’ausilio dei linguaggi multimediali.
Armonie e dissonanze caratterizzano le risposte al tema della Biennale rispecchiando le trasformazioni epocali in atto viste dai diversi Paesi. Il Padiglione Giappone con Cosmo-eggs propone una riflessione sulla ecologia della coesistenza, all’interno del processo evolutivo della vita sul Pianeta Terra. Gli autori provenienti da formazioni culturali diverse: Motoyuki Shitamichi: artista, Taro Yasuno: compositore, Toshiaki Ishikura antropologo e Fuminori Nousaku architetto approdano ad un’installazione condivisa. (https://www.lebiennali.com/padiglione-giappone.html)
Padiglione Cina con la mostra dal titolo RE-睿 definisce uno spazio di ricerca e sperimentazione che riguarda i sistemi di connessione tra il reale e il virtuale. L’uso di nuovi linguaggi e tecnologie permette di incrementare la visione oltrepassando il limite percettivo umano, mentre nell’ancoraggio al passato si intravede un potenziale aiuto per superare i momenti di difficoltà e trovare la strada che riporta al Cuore. La visione degli artisti: Chen Qi, Fei Jun, He Xiangyu, Geng Xue può essere approfondita nell’ articolo PADIGLIONE CINA: ARTE COME SISTEMA DI CONNESSIONE TRA REALE E VIRTUALE. (https://www.lebiennali.com/padiglione-cina.html)
Malesia e Corea si interrogano l’una sulla veridicità dei fatti (multi-verità) l’altra sulla veridicità della storia. Il Padiglione Malesia, esordiente alla Biennale di Venezia, presso Palazzo Malipiero, con la mostra Holding Up a Mirror sposta l’attenzione sul rapido processo di trasformazione dell’Oriente, riflettendo sul concetto di identità individuale e nazionale visto da quattro artisti malesi Zulkifli Yusoff, H.H. Lim, Arinderendra Jegadeva e Ivan Lam. (https://www.lebiennali.com/padiglione-malesia.html)
Padiglione Korea ai Giardini, usa l’arte per ri-leggere e ri-trascrivere la storia attraverso la mostra History Has Failed Us, but No Matter. Questa rivolge l’attenzione alla vita di personaggi controversi, che altrimenti rimarrebbero invisibili alla memoria storica tramandata. La curatrice Hyunijin Kim si interroga e fa interrogare le tre artiste coinvolte: sirene un young jung, Jane Jin Kaisen and Hwayeon Nam sulla veridicità dei contenuti della storia. Attraverso elaborazione di documenti e raccolte d’archivio si ripercorre la vita di personaggi scomodi che trovano riscatto attraverso l’arte. (https://www.lebiennali.com/padiglione-corea.html)
La CINA all’Arsenale presenta gli artisti Sun Yuan e Peng Yu, che propongono un’istallazione Dear del 2015. Il visitatore viene sottoposto ad una esperienza emotiva provocata da un’azione violenta ed imprevedibile di un fuori controllo. Una pompa ad aria, un tubo nero di gomma ed una poltrona in silicone che simula la pietra, uniti all’osservazione attiva e reattiva dello spettatore, costituiscono gli elementi dell’opera. All’interno di un recinto trasparente è posizionata una poltrona bianca “in pietra” che simula un’antica seduta, ispirata alla poltrona imperiale romana esposta nel Museo Storico Lincoln Memorial di Washington: da questa si aziona una sorta di frusta, che colpisce alla cieca le pareti trasparenti in plexiglass che proteggono l’osservatore dai colpi.
La poltrona è pressurizzata, il tubo nero colpisce violentemente lo spazi circostante a causa di spruzzi d’aria imprevedibili, attivati ad intervalli di quiete apparente. La trasparenza delle pareti in plexiglass è segnata da graffi, che disegnano una sorta di ragnatela provocata dai colpi inflitti dal tubo. Il box protegge lo spettatore dalla violenza dei movimenti imprevedibili, ma non dal rumore scioccante prodotto dall’installazione. Sempre gli stessi artisti Sun Yuan e Peng Yu, ai Giardini, presentano Can’t Help Myself, 2016, un’installazione di grandi dimensioni racchiusa in un recinto costituito da pareti di vetro. Foto 5
All’ interno si muove il robot KUKA che rappresenta una sorta di essere meccanico catturato, ingabbiato ed esposto al pubblico. L’opera è stata già presentata in occasione della mostra Tales of Our Time al Salomon R. Guggenhein Museum di New York.
KUKA è un robot industriale programmato per gestire un fluido rosso vischioso (etere di cellulosa in acqua colorata) simile al sangue. La macchina tenta di continuo di riportare all’interno di una certa superficie il fluido, che segue percorsi autonomi e fuori controllo. I sensori che caratterizzano i movimenti di KUKA percepiscono il mutamento del flusso e lo riportano continuamente verso il centro della gabbia di vetro. I movimenti sono prodotti da un braccio meccanico (acciaio inossidabile e gomma) che oltre a muoversi in varie direzioni può ruotare di 360 gradi. Questa modalità di movimentazione ricorda quella delle articolazioni umanoidid. Gli artisti hanno addestrato la macchina a saper effettuare 32 movimenti che ricordano le movenze umane. La vischiosità del liquido, che tende a seguire percorsi liberi sfuggendo dal controllo della macchina, per Sun Yuan e Peng Yu, rappresenta l’elusività dell’Arte che fugge da qualsiasi tentativo di incasellamento e controllo.
Umanizzazione delle macchine, intelligenza artificiale, implementazione delle capacità umane attraverso supporti multimediali e virtuali definiscono una zona di fermento creativo che anticipa sicuramente cambiamenti epocali futuri.
Il GIAPPONE è rappresentato anche dalle proposte dell’artista e compositore Ryoji Ikeda (Japan, 1966) che vive e lavora a Parigi e Kyoto, sia ai Giardini che l’Arsenale. L’artista rappresenta l’uomo connesso continuamente a realtà multidimensionali ed immerso in enormi quantità di dati.
Con l’installazione SPECTRA III (2008/2019) ai Giardini l’artista definisce uno spazio di sovraesposizione luminosa in un punto di passaggio: un corridoio bianco, in cui una sequenza implacabile di tubi luminosi ed onde fluorescenti genera un cortocircuito mentale e sensoriale in chi lo attraversa. Passandoci si diventa parte di una smaterializzazione prodotta da flussi luminosi. Onde luminose abbagliando in modo accecante chi attraversa il percorso, producendo una condizione di overload difficilmente contenibile dai sensi. L’attacco della luce, spinge le persone al superamento del limite cognitivo che annulla le capacità umane di elaborare processi mentali logici. Procedendo si accelera il passo di fronte all’attacco della Luce, lo stato mentale di azzeramento di senso e sensi apre all’idea del Sublime.. Il frastuono visivo è tale da rendere invisibile lo spazio per l’abbagliamento prodotto. Foto 6 e video 6 (scegliere se con taglio orizzontale o vericale). Sia l’eccesso, che la mancanza di luce portano alla cancellazione della percezione spaziale, infatti, sovraesposizione luminosa e buio si incontrano nell’azzeramento percettivo della vista,
Dalla Luce dell’installazione Spectra III ai Giardini, si passa al buio della proposta di Ryoji Ikeda per l’Arsenale. Un grandissimo schermo proietta flussi enormi di codici e suoni, definendo un’immersione sensoriale in scenari volti a destabilizzare e confondere l’osservatore. Questo progetto costituisce la prima parte di una trilogia intitolata Data-Verse.
L’oriente conserva memoria e tradizione da cui trarre identità e forza, ma guarda al futuro con interesse e coraggio, oscillando sperimentalmente tra reale e virtuale, robotica e intelligenza artificiale.
Orientemente: termine utilizzato nel titolo, è stato coniato da Paolo Aita ( Poeta, Critico d’Arte e Critico Musicale, traduttore di poesie cinesi).
Chen Qi, by Donatella Pinocci
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Sun Yuan e Peng Yu, DEAR, by Donatella Pinocci
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Jane Jin Kaisen: Community of Parting, 2019, photo by Donatella Pinocci
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