29 Settembre 2020 by Valentina Iscra
Arab e Tarzan Nasser registi di “Gaza Mon Amour” – sezione Orizzonti – in Sala Darsena durante l’incontro con gli autori, Venezia77 – Foto di Valentina Iscra
Venezia ’77 scacco al covid!
Quella del 2020 è stata forse la migliore edizione del Festival del Cinema di Venezia perché gli organizzatori hanno dimostrato di poter vincere la sfida al covid credendo nel valore d’una manifestazione che sa segnare la storia. Non è stato semplice, tante le precauzioni e le misure adottate durante la mostra ma gli ottimi risultati di critica e di pubblico hanno dato ragione delle scelte fatte.
Il senso di gratitudine per “esserci” si è percepito fisicamente in Sala Grande durante il lunghissimo applauso che ha accolto al termine la proiezione di “The Human Voice”, il corto fuori concorso del regista Pedro Almodovar, presente in sala con la protagonista Tilda Swinton.
Con il suo moderno capolavoro Almodovar ha dimostrato d’essere sempre originale. Non potendo evitare gli inutili confronti con “Una voce umana” di Rossellini, si muove infatti in uno spazio altro, altri i ritmi e le atmosfere ma soprattutto forte è la sorpresa nel finale quando la donna finalmente non è più vittima, ma reagisce riappropriandosi della sua libertà e di quella forza di cui non sembrava più consapevole.
Questo è evidente in particolare nell’ultima sequenza quando la protagonista, una superba Tilda Swinton, sempre misurata, varca la soglia di quello che resta della casa data alle fiamme dopo essere stata lasciata dal suo amato, seguita dal cane del suo ex. Nonostante sia stata scartata, la donna trova la forza di ripartire affrontando con coraggio una vita diversa. E diventa mitica la battuta della Swinton quando, rivolgendosi al cane anche lui abbandonato, gli dice: “E’ meglio che ti abitui ora ad avere un altro padrone, cioè me!”.
La Swinton quest’anno ha ricevuto il Leone d’oro alla Carriera e nel suo discorso di ringraziamento ha paragonato i colleghi del cinema alla sua famiglia perché insieme – ha detto emozionata – formiamo una tribù, lasciando così intendere quanto questa arte scorra nelle sue vene e riempia la sua vita. E il cinema è la sua vita.
Potente ed energetico il film “Zanka Contact” del regista marocchino Ismail El Iraki, presentato nella sezione Orizzonti, che si è fatto notare per la bellezza della storia d’amore fra due anime perse che si salvano scoprendo l’uno il talento dell’altra, valorizzandosi a vicenda.
Il personaggio femminile, interpretato da Khansa Batma – vincitrice del Premio Orizzonti come migliore attrice, è ben costruito e credibile quando salva con il suo coraggio lo spavaldo ex rocker quasi sopraffatto dai problemi di droga, un convincente Ahmed Hammoud.
Lei, prostituta suo malgrado, canta come un angelo perché nel cuore, nonostante le violenze ed i soprusi subiti, conserva intatta la purezza da cui scaturisce la sua voce. Lui, nonostante i drammi che deve superare, l’aiuterà a lasciare l’ambiente corrotto dove si era persa e, riconquistata la libertà, la proporrà come cantante in un nuovo gruppo musicale. Il ritmo veloce della pellicola è scandito da una colonna sonora originale e dirompente, particolarmente suggestiva la canzone “Full Contact love” scritta appositamente per questo film come evinto durante la conferenza stampa.
Da citare ancora il film della sezione Orizzonti “Gaza mon Amour” dei registi Tarzan e Arab Nasser, che affrontano con delicatezza e a tratti con lieve ironia il tema dell’amore maturo nonostante tutto e tutti, in una terra ferita dalla guerra e dalla corruzione. Bravissima l’attrice Hiam Abbass, presenza costante al festival di Venezia e sempre garanzia per la qualità delle opere che la vedono impegnata sia come attrice che come regista.
Notevole ancora il film “The Wasteland”, originale per la scelta non facile di narrare lo sfruttamento dei lavoratori di una vecchia fabbrica di mattoni in una pianura desertica dell’Iran settentrionale. Un poetico bianco e nero sottolinea efficacemente il dramma rappresentato. Particolare la scelta narrativa di ripetere alcune immagini nelle varie sequenze per descrivere la pesantezza della vita quotidiana, con un finale “claustrofobico” senza alcuna prospettiva di redenzione dalla misera condizione di asservimento e sfruttamento che diventa dell’umanità intera.
Da ricordare in questa carrellata tutta personale il docufilm fuori concorso “La verità sulla dolce vita” di Giuseppe Pedersoli, perché svela nuovi particolari su questo film cult di Federico Fellini, la passione con la quale il produttore Peppe Amato abbia creduto nella sua sceneggiatura e gli sforzi e le difficoltà per realizzarla. Attraverso gli occhi del regista, che è anche nipote del produttore, scopriamo la vera storia del capolavoro che seppe guadagnarsi l’Oscar ed i rapporti non facili, a volte contraddittori, tra Amato ed il suo socio Angelo Rizzoli, le pressioni e ripensamenti di quest’ultimo per una realizzazione tanto colossale quanto onerosa che causò amarezze e delusioni fino ad arrivare al fallimento della loro decennale amicizia.
Infine, “El arte de volver” di Pedro Collantes – sezione College Cinema – sull’arte di cercare la felicità riconoscendo come si possa anche rimanere soli piuttosto che restare invischiati in amicizie false ed amori deludenti purché ben radicati nella sicurezza di una famiglia accogliente. Particolarmente commovente l’affettuosa tenerezza di un nonno che diventa maestro di vita e particolarmente stimolante la voglia di superare qualsiasi gelosia possibile all’interno degli affetti famigliari.
L’organizzazione di Venezia 77 nei sui molteplici aspetti ha reso il Festival sempre interessante, presentando parallelamente alle proiezioni, varie iniziative tra cui la mostra “Le muse inquiete”, panoramica storica della Biennale in occasione del 125° dalla sua fondazione, con materiale relativo a tutti i suoi settori: dall’Arte, alla Musica, al Cinema, al Teatro, all’Architettura e alla Danza.
Molteplici i condizionamenti socio-politici culturali che hanno giocato un ruolo sulla scelta delle opere e degli artisti selezionati per partecipare alla biennale nel tempo, nonché sui premi assegnati, dall’epoca del fascismo, quando nasceva l’uso dell’arte quale forma di propaganda politica, alla globalizzazione, passando attraverso la Guerra fredda, il ’68, gli anni ’70 che nel teatro promuovevano un pubblico più attivo, la caduta del muro di Berlino.
Decidere di far ripartire la mostra internazionale del cinema in tempi tanto difficili, che hanno affamato ancor di più con la voglia di emozioni, sogni e speranze i partecipanti sempre desiderosi di nuove chiavi di lettura della realtà, ha confermato il ruolo del festival quale finestra sul cinema contemporaneo, grazie anche alla presenza di artisti e film provenienti da tutto il mondo. E quest’anno, in particolare, grazie alle numerose presenze femminili che hanno confermato la qualità della loro partecipazione.
Donne che dimostrano sempre più di aver raggiunto alti livelli di professionalità, consapevoli della maturità raggiunta e presenti a pieno titolo nel panorama dell’industria cinematografica.
E a proposito di donne, per concludere torniamo ancora alle parole della Swinton: “Il tappeto magico vola quieto e sempre sarà. E grazie per il mio Leone con le ali. Il miglior dispositivo di protezione personale per l’anima che possa immaginare”.
Perché il Festival del cinema di Venezia è sempre un ottimo dispositivo per far volare la nostra anima scrollandoci di dosso la pesantezza della quotidianità, facendoci vivere vite ancora mai vissute, attraverso luoghi ed epoche inesplorati, conoscendo personaggi che renderanno più aperta la mente e, forse, anche il cuore. Perché quello che conta, come affermato da Tilda Swinton nel suo discorso di ringraziamento per il Leone d’oro alla carriera è: “Nient’altro che amore”.